Sign up for free

  • Get quick access to your favorite articles

  • Manage alerts on breaking news and favorite drivers

  • Make your voice heard with article commenting.

Motorsport prime

Discover premium content
Iscriviti

Edizione

Svizzera
Ricordo

Giunti, 50 anni di una tragedia che non si può dimenticare

L'automobilismo non può cancellare la tragedia del pilota romano morto durante la 1000 Km di Buenos Aires del 1971 con la Ferrari 312 PB con la quale stava conducendo la corsa. Ignazio si è schiantato contro la Matra-Simca 660 di un'irresponsabile Jean Pierre Beltoise che stava spingendo la sua vettura rimasta a secco di carburante. La Ferrari 512M di Parkes riuscì a evitare la biposto francese, non Giunti che era in scia. Una vergogna per il Motorsport.

Ignazio Giunti, Ferrari 312B

Foto di: Rainer W. Schlegelmilch

Cinquanta anni. Per il mondo delle corse sono un’eternità. Ma ci sono date e fatti che non potranno mai essere cancellati, dimenticati. E il 10 gennaio del 1971 è scolpito nella memoria: a Buenos Aires muore Ignazio Giunti.

Un pilota, un possibile campione erede di Ciccio Ascari, strappato alla vita da un incidente scellerato proprio nel momento in cui la sua carriera avrebbe potuto prendere definitivamente il balzo anche in F1.

Alla 1000 km di Buenos Aires Ignazio corre con la Ferrari 312 PB insieme ad Arturo Merzario: è la bisposto con lo stesso motore piatto della F1 di quell’anno. Il pilota romano conquista la seconda posizione in griglia con la Rossa di tre litri contro le 5 mila dei favoriti.

Il prototipo disegnato da Mauro Forghieri è già a regolamento 1972 quando i grossi 5 litri sarebbero stati banditi e, un po’ a sorpresa, la 312 PB numero 24 al 38 giro si trova al comando.

Jean Pierre Beltoise con la Matra-Simca 660 resta senza benzina e decide di spingere la sua biposto francese nel tentativo di riportarla ai box e, magari, ripartire. È da tre giri che

Il transalpino, spossato, arriva sul rettilineo di arrivo: la mossa più logica sarebbe quella di parcheggiare la vettura di lato, ma con ostinazione Beltoise non si arrende e la Matra si trova in piena traiettoria e, allora, decide di spostarsi sulla destra per arrivare all’abitacolo e sterzare. Non fa in tempo…

Dietro arrivano due Rosse, la 512 M della Scuderia Filipinetti condotta da Mike Parkes e la 312 PB del leader della corsa, Ignazio Giunti. Il romano stava preparando il doppiaggio di Parkes e, quando, la 512M scarta di lato si immagina che gli stia facilitando il sorpasso.

Non poteva immaginarsi, invece, di trovarsi di fronte un ostacolo fermo in mezzo alla pista. Centra in piena velocità la 660 e la Ferrari si accartoccia prima di prendere fuoco. Ci vogliono un paio di minuti per domare le fiamme, ma la corsa non viene interrotta. I soccorsi trovano Ignazio con ustioni sul 70 per cento del corpo martoriato. Una volta estratto dall’abitacolo viene trasportato all’ospedale, ma è già morto. L’impatto è stato tale da strappargli l’osso del collo.

Tremendo. Una morte da evitare. Ci sono state violente polemiche, ma Jean Pierre Beltoise se la cavò con qualche mese di sospensione della licenza, tanto che l’anno dopo vinse il GP di Monaco con una BRM P-160 sotto l’acqua. Nessuna inchiesta, nessun processo. Come se quella tragedia potesse essere relegata nelle fatalità.

Certo c’era una bandiera gialla a segnalare il pericolo all’uscita dell’ultima curva, ma nessun commissario di percorso è intervenuto per fermare Beltoise e spostare la Matra dalla pista durantei tre giri in cui ha spinto la Matra. Men che meno il direttore di corsa, Juan Manuel Fangio, proprio il cinque volte campione del mondo di F1. In Argentina era considerato un “intoccabile” e come tale fu trattato, mentre il settimanale Autosprint dall’Italia chiedeva giustizia.

L’automobilismo italiano ha perso uno dei suoi talenti e un autentico signore. Non era solo il reuccio di Vallelunga, perché quel ragazzo romano cresciuto sull’Alfa GTA di Franco Angelini, si è poi fatto apprezzare man mano che saliva su macchine più veloci e più potenti.

Ignazio con quel personalissimo casco caratterizzato dalla M sopra la visiera, che era stato disegnato da Mara, la sua fidanzata, era considerato un pilota che si sarebbe meritato la gloria anche in F1.

Era la terza guida del Cavallino dopo Jacky Ickx  e Clay Regazzoni e aspettava il suo momento, scalpitando. Al debutto nel Circus nel GP del Belgio 1970 conquistò subito un quarto posto con la 312B, poi solo altre tre partecipazioni. Ma a 30 anni avrebbe avuto tempo. Il destino, invece, glielo ha stroncato troppo presto…

Be part of Motorsport community

Join the conversation
Articolo precedente 12h Golfo: Trionfo GT4 di Trivellato-Villorba con la Mercedes
Articolo successivo E' morto Jean Graton, papà di Michel Vaillant

Top Comments

Non ci sono ancora commenti. Perché non ne scrivi uno?

Sign up for free

  • Get quick access to your favorite articles

  • Manage alerts on breaking news and favorite drivers

  • Make your voice heard with article commenting.

Motorsport prime

Discover premium content
Iscriviti

Edizione

Svizzera