Gli ordini di scuderia fanno parte del gioco in una stagione tirata. E 7 punti oggi possono fare tanta differenza...
Il paragone tra Austria 2002 e quanto accaduto a Sochi non regge, perché allora la Ferrari aveva una netta superiorità. La Mercedes ha calcolato che una rottura di Hamilton e una vittoria di Vettel in Giappone ridurrebbero il gap a 25 punti, con Lewis in penalità. E ha scelto la prudenza.
Foto di: Steve Etherington / Motorsport Images
Sotto molti punti di vista, gli appassionati devono augurarsi di assistere a campionati Mondiali che in vista del traguardo finale vedono apparire gli ordini di squadra. È un chiaro sintomo che conferma di essere in una stagione molto combattuta, nella quale un team è costretto a prendere la decisione più impopolare nel motorsport: chiedere ad uno dei suoi piloti di farsi da parte e dare strada. Non è un caso che la Formula 1 abbia riproposto oggi il tema dei team-order, un revival arrivato dopo un periodo in cui i dictat del muretto-box sono stati in letargo a causa di stagioni marchiate a fuoco dalla superiorità tecnica di un team.
Dopo quattro anni di vita tranquilla, quest’anno la Mercedes sta vivendo una situazione nuova, a causa di una Ferrari capace di mettere una pressione importante sul team campione del Mondo. Il margine tecnico che un tempo permetteva a Toto Wolff di invocare lo spirito decubertiano, oggi non c’è più, ed ogni arma a disposizione per recuperare punti diventa preziosa, compresa quella di sacrificare il secondo pilota a favore del primo.
Come sempre accade in questi casi, dopo la gara di Sochi sono iniziate le discussioni tra aziendalisti e puristi, riproponendo tesi mai passate di moda. Ovviamente si è anche aperto l’archivio della Formula 1 rispolverando episodi, come Austria 2002 (Schumacher-Barrichello) o Germania 2010 (Alonso-Massa). Episodi simili, non identici, opinioni sempreverdi. Ma curiosamente non è stato ricordato un altro ordine di squadra, ovvero quello che ha dato alla Ferrari il titolo Mondiale piloti che resta ad oggi l’ultimo nell’albo d’oro del Cavallino.
Nell’ultima tappa del campionato 2007, a Interlagos, il box della Ferrari chiese a Massa di rinunciare alla vittoria nella sua gara di casa, un sacrificio che costò molto a Felipe, ma che portò il titolo iridato a Maranello con Kimi Raikkonen. E proprio al ritorno in fabbrica dopo il weekend brasiliano, la dirigenza del Cavallino preparò una sorpresa a Massa, una fiammante F50 in segno di riconoscenza per il favore fatto alla squadra.
Nessuno parlò di gesto antisportivo, o di mondiale falsato, perché l’ultima gara è vista e sentita come un’arena in cui tutto è concesso, dimenticandosi che un titolo Mondiale è un trofeo assegnato calcolando una somma aritmetica che comprende tutti i Gran Premi in calendario. La decisione presa a Sochi dalla Mercedes è stata valutata da una corposa parte di opinionisti come un eccesso di prudenza. Se Hamilton avesse ceduto la posizione a Bottas, avrebbe lasciato Sochi con un margine di 43 punti su Vettel, potendo contare anche su un gran momento tecnico della Mercedes che nelle ultime sette gare gli ha consentito di conquistare cinque vittorie e due secondi posti.
Ma Wolff ha messo sul piatto anche un imprevisto. Cosa accadrebbe se Hamilton accusasse un problema alla power unit nel Gran Premio del Giappone lasciando il successo a Vettel? Lewis arriverebbe in Messico con metà margine (25 punti) e dieci posizioni da scontare sulla griglia della partenza per utilizzare una power unit nuova. Uno scenario pessimista, ma non impossibile, ed è in questo quadro che i 7 punti guadagnati a Sochi con l’ordine di squadra diventerebbero molto, molto importanti. E per questo ha poco senso paragonare Sochi 2018 con Austria 2002, due contesti in cui il delta che separa i contendenti ha ben poco in comune.
Quando il confronto è serrato (non lo era certo nel 2002) i Mondiali si vincono anche così, ed è un aspetto connaturato con la storia delle corse professionistiche. Lo sanno bene gli addetti ai lavori ed anche gli stessi appassionati, sembrano invece saperlo meno gli ingegneri del lunedì, ma in realtà è tutta una recita per titillare la pancia a chi ama pescare nel torbido.
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