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Senna 21 anni fa: ecco la lama che ha trafitto Ayrton

L'uniball della sospensione anteriore della Williams si era conficcato nel casco del campione brasiliano

Ayrton Senna. Si pronuncia il suo nome e si pensa al 1 maggio 1994. Una data che ha segnato la fine di un’epoca della Formula 1 con la morte del campione brasiliano a Imola. Sono trascorsi già 21 anni. Una tragedia in un week end, quello del Gp di San Marino, a dir poco devastante, visto che proprio Senna non era riuscito a darsi pace per la fine di Roland Ratzenberger, nelle qualifiche del giorno prima con la Symtek.

“Magic” è stato trafitto alla testa dall’acuminato punta del braccetto della sospensione anteriore destra della Williams FW16-Renault. Un uniball, che si è strappato nell’impatto contro il muretto del Tamburello, mentre Ayrton era in testa alla gara dopo la ripartenza dalla safet car, si è trasformato in una lama che si è insinuata fra la calotta del casco e la guarnizione di gomma, nell’unico punto vulnerabile.

È stata una… stoccata del destino. Senna, senza quel pezzo di metallo conficcato nel cranio, sarebbe sceso incolume della sua monoposto in fibra di carbonio, che seppur accartocciata, lo aveva protetto da quel muretto tanto vicino che separava la pista dal torrente del Santerno.

E, probabilmente, sarebbe tornato ai box per… cantarne quattro ai tecnici Williams (Patrick Head e Adrian Newey) che, finalmente, gli avevano, modificato lo sterzo di una macchina che non riusciva a guidare come voleva lui perché era costretto ad usare un volante di diametro più piccolo perché le nocche delle mani strusciavano contro la scocca, procurandogli continue escoriazioni. Peccato che gli inglesi per adattare il piantone dello sterzo ai voleri del brasiliano abbiano usato un tubo arrugginito che poi si è rotto!

Possiamo solo immaginarci il terrore nel volto del brasiliano che a oltre 300 Km/h ha visto avvicinarsi la protezione, non potendo cambiare direzione alla sua monoposto. Ha provato a fare tutto quello che gli era concesso: scalare una marcia e frenare, pestando violentemente sul pedale sinistro. Non è servito a niente. La sua sorte era segnata. Contro quel bianco muretto la sua vita s’è spezzata (anche se il decesso è stato constato a Bologna in ospedale).

Una pagina tragica per le corse, nera per la Formula 1. “Magic” se n’era andato. Il più grande, come lo avevano definito il suoi tifosi, non c’era più. Il Circus aveva perso il punto di riferimento in pista (la Honda nel periodo McLaren aveva sviluppato il traction control analizzando le sue telemetrie) e sembrava che dopo quel 1 maggio niente sarebbe stato uguale. Quella F.1 sembrava essere diventata invulnerabile: i piloti che formavano la griglia del Gp di San Marino 1994 non avevano visto un collega morire.

E nell’arco di ventiquattr’ore il fato aveva suonato il campanello due volte: si era preso l’ultimo della fila, Roland Ratzenberger, e il campione più celebrato, Ayrton Senna. Nemmeno i sette titoli mondiali di Michael Schumacher hanno poi oscurato la figura mitica del brasiliano. Restano le sue 41 vittorie, accompagnate da 65 pole position in 161 Gp disputati.

Il mito di Ayrton non è stato scalfito nemmeno dal successivo processo che si era trasformato in un evento mediatico seguito da giornalisti e televisioni: c’era chi aveva provato ad attribuire la colpa del crash al pilota (ignobili furono le dichiarazioni di David Coulthard e Damon Hill), anche se poi è venuta a galla la verità del piantone.

Nessuno ha pagato grazie alla prescrizione dei reati. Il casco di Senna è stato pressato non appena è stato dissequestrato, mentre i resti della FW16-Renault furono portati via da un anonimo furgone, forse, in direzione Grove. Se ancora esistono, sarebbe bello che almeno un frammento possa tornare a Imola…

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