L'Italia senza piloti in F.1 non lascia in silenzio
Gian Carlo Minardi che è sempre stato un talent scout di giovani conduttori. Il manager faentino oggi consulente della Csai prova a dare una spiegazione della situazione:
“L’Europa sta attraversando una forte crisi economica e l’Italia sta pagando un forte dazio. Di contro abbiamo paesi emergenti che spingono forte sulla loro immagine usando lo sport come veicolo per fare promozione. Questo ci rende impotenti, soprattutto in uno sport dove in questo momento la crisi si fa sentire. Le Case automobilistiche non sono più presenti come una volta e di conseguenza i team devono far quadrare i conti cercando il miglior compromesso tra incassi e piloti. Oggi tocca ai piloti, ma a breve saranno i circuiti europei a cedere il passo alle nuove nazioni”.
Minardi fa chiarezza su un aspetto...
“In Italia non è vero che mancano i talenti. Il nostro paese può contare su diversi piloti di grande spessore tecnico e ha la migliore scuola di kart con i migliori driver e costruttori. Purtroppo però poi ci fermiamo in quanto non riusciamo a farli crescere, ad andare avanti nelle categorie. La Russia sta esprimendo diversi piloti talentuosi anche nelle formule propedeutiche, ma sono aiutati certamente dalle risorse economiche del loro paese. La Federazione e la FDA hanno capito che bisogna costruirsi i talenti in casa, ma per trovare un campione da Ferrari ci vorrà del tempo in quanto siamo i primi a gridare allo scandalo quando la Scuderia di Maranello arriva seconda".
Cosa manca?
"Un team materasso che faccia crescere piloti, meccanici e ingegneri. Gli ultimi piloti che la Minardi ha provato nel 2005, prima di passare lo scettro alla Toro Rosso, sono stati Luca Filippi e Davide Rigon. Se il team fosse sopravvissuto questi ragazzi sarebbero permanentemente in Formula 1, come i vari Fisichella, Trulli, Nannini, Martini e Morbidelli che hanno cominciato con la scuderia di Faenza. Questa mancanza è anche il frutto di una politica sbagliata della FIA negli anni tra il ’96 e il ’02 in cui sono state privilegiate le casa automobilistiche a scapito dei team privati. Proprio quei piccoli team che sono stati richiamati e ricercati. Peccato che si siano dimostrati più fragili di quelli che li avevano preceduti, costruttori a tutti gli effetti”.
E come si trova una soluzione?
“Lo sport vive grazie alla pubblicità. Questo discorso vale per qualsiasi disciplina, non soltanto per l’automobilismo. Non possiamo pensare che i privati finanzino esclusivamente i vari sport nazionali. Ci vogliono delle entrate. Si potrebbe dirottare una parte degli introiti dei giochi nazionali, come succedeva un tempo con la SISAL, alla divulgazione dello sport”.
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