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Intervista

Muller: "Non c'è solo la F1! Andando oltre ho vinto 4 Mondiali"

Il francese attualmente attende di cominciare l'ennesima avventura nella massima serie turismo e ripercorre la sua lunga carriera nella quale ha vinto praticamente ogni cosa con le vetture turismo. E non solo...

Yvan Muller, Cyan Racing Lynk & Co 03 TCR

Foto di: WTCR

E' un Yvan Muller a tutto tondo quello che si è confessato al podcast WTCR Fast Talks in questi giorni di sosta forzata causa pandemia di Coronavirus.

La massima serie turismo è attualmente in attesa di scoprire quale sarà il calendario rivisto per il 2020 e il francese deve quindi aspettare di tornare al volante della sua Lynk & Co 03 TCR, oltre che nel portare avanti la gestione del suo team, la Yvan Muller Racing.

"In questo momento in Francia abbiamo restrizioni ferree, ho dovuto chiudere l'azienda perché comunque dobbiamo stare a casa, ma in ogni caso anche le piste sono vietate e le gare hanno subìto cancellazioni e rinvii, quindi di fatto non c'è un gran che da fare. In realtà eravamo già pronti per cominciare la stagione con auto e piloti. Per una settimana abbiamo pulito tutto, poi non c'era altro da fare", spiega il 4 volte Campione del FIA WTCC.

"Non possiamo uscire se non per andare a fare la spesa, se uno vuole passeggiare o correre per tenersi in forma non può allontanarsi per più di 1km dalla propria abitazione, ma per fortuna a casa ho un po' di attrezzi e sto cercando di fare il più possibile per non ingrassare!"

L'occasione è quindi buone per fare un tuffo nel passato e ripensare alle origini di quello che, ad oggi, è il pilota in attività più vincente del mondo delle corse turismo.

"Mio padre correva le cronoscalate negli anni '70, quindi in famiglia il motorsport era all'ordine del giorno. Quando mia sorella Cathy ha compiuto 12 o 13 anni ha cominciato a girare sui kart per divertimento nei giorni di libertà. Io ero più giovane, ho semplicemente seguito le orme di famiglia!"

"Molti giovani si appassionano al calcio, mentre io guardavo la Formula 1. Il mio idolo era Fangio, che ho conosciuto in realtà con storie e racconti perché correva negli anni '50 quando non ero nato. Da ragazzo guardavo molto i francesi della mia epoca, quindi Pironi, Cevert, Prost; in generale non ho mai avuto un idolo, ma mi piaceva l'automobilismo in generale".

Inevitabile il colpo di fiamma per i motori, dato che in famiglia non si respirava altro che quest'aria.

"Ho cominciato quando avevo cirva 8 anni, solo che all'epoca non esistevano kart della mia misura, quindi cercavo di adattarmi a quello di mia sorella. Non so se oggi è più facile o meno iniziare, sicuramente i costi erano più bassi e anche se non avevi un gran budget, potevi comunque caricare kart e materiali sul furgone e andare in pista. Eravamo tutti più o meno sullo stesso livello, oggi invece i kart sono diventati più costosi e hanno raggiunto un livello quasi professionale, con tanti meccanici e addetti che si occupano di ragazzi e mezzi. Di base, però, il costo del kart è sempre quello, ciò che è cambiato è il resto che sta attorno. Quando ero piccolo, i meccanici erano mio padre e un paio di amici, per quello tutto costava meno".

Dai kart Muller è poi passato alle monoposto, scelta ovvia per quasi tutti i piloti in erba. Meno scontato, invece, dove trasferirsi nel Regno Unito per fare un salto di qualità, con relativi problemi di ambientamento come spiega.

"Ho corso un po' in Formula Renault, poi sono passato alla Formula 3 e alla Formula 2, sono cresciuto con le monoposto ed è stata una grande scuola. Il mio obiettivo era la Formula 1, poi ho capito che in realtà c'era un mondo anche al di fuori di quella e quindi è stato uno dei motivi per cui ho preferito lanciarmi nel turismo".

"Ai tempi delle monoposto in Gran Bretagna affrontai un cambiamento importante perché mi dovetti trasferire in un paese che non conoscevo. Fu bello perché imparai una cultura e una mentalità diversa dalla mia, giovanissimo francese che chiaramente faticava in quelle condizioni. Mi è servito un po' di tempo, ma poi mi sono divertito tantissimo, soprattutto su piste come Snetterton, Oulton Park e via dicendo. Ammetto che erano veramente fantastiche, ma assurde! Solo dei pazzi potevano correrci all'epoca; io l'ho fatto perché avevo 20 anni, adesso non ci andrei più!"

Dopo qualche anno, il transalpino viene chiamato per la sua prima avventura a ruote coperte a bordo delle auto derivate di serie.

"La transizione al turismo non fu così difficile, anche se parlavamo di macchine molto pesanti e più lente delle monoposto. Per me fu la prima occasione di diventare pilota professionista e mi fu offerta da BMW Motorsport. Quando vinsi l'Europeo di F3 nel 1993 capii che quella era la mia strada e da quel momento ho compreso che potevo costruirmi una carriera anche senza arrivare in Formula 1. Infatti poi ho preso parte a corse su ghiaccio, Le Mans, Dakar e tanto altro, cosa che non avrei mai potuto fare se fossi approdato alla F1".

"A fine 1995 la BMW chiuse il suo programma, ma arrivò la chiamata dell'Audi Sport per correre il campionato italiano; dovevo aiutare Emanuele Pirro e Dindo Capello, ho accettato subito sapendo che il mio momento sarebbe arrivato successivamente, ma anche perché era una bella occasione in un progetto nuovo perché l'Audi non era solita produrre auto a trazione anteriore".

"Ho preso parte anche a sessioni di test di sviluppo, poi Audi decise di concentrarsi su Le Mans e quindi tornai a correre nel BTCC con Vauxhall. Trovai un ambiente molto bello, ma anche difficile perché era pieno di piloti e costruttori diversi e bravi. In quel momento il livello era altissimo ed era il modo migliore per imparare, quindi perfetto per me".

"Come ho detto prima, lavorare in un paese diverso dal tuo all'inizio è sempre difficile, perché trovi un'altra cultura e devi adeguarti. Una volta capito il metodo è tutto fantastico, ti si apre la mente e puoi aumentare anche le tue conoscenze e il livello, stando con le persone ogni giorno. Ripeto, ci vuole tempo e non è semplice, la prima annata con la Triple Eight ci furono molti scontri perché non ci capivamo, ma a fine anno ci guardammo negli occhi e decidemmo di sfruttare al meglio le qualità di ciascuno senza discutere più. Da lì è iniziato il lavoro di cooperazione".

Curiosamente, ogni battibecco, litigio, occhiataccia e parolaccia sono serviti a Muller quando ha compiuto il passaggio all'altra riva del fiume, diventando capo di una squadra di sua proprietà.

"Tutto questo mi ha aiutato moltissimo anche a fare il team manager ora. Quando incontro i miei vecchi capi tendo sempre a scusarmi per gli errori e le lamentele del passato, perché ora capisco come ci si sente a ricoprire certi ruoli e cosa bisogna fare. E' complicato in confronto ad essere pilota; lì basta mettersi tuta e casco, e poi andare forte in pista. Un ingegnere e un team principal sono persone che arrivano per prime in circuito e lo lasciano per ultime, tutto il lavoro da fare dietro le quinte spetta a loro. Ecco perché sto insegnando anche a mio nipote, Yann Ehrlacher, a gestire questi aspetti, così come a leggere ed analizzare i dati. Così può imparare prima di quel che ho fatto io".

Il Trophée Andros non era invece nei piani dell'alsaziano, che però ormai era diventato talmente bravo da riuscire ad imporsi autorevolmente anche sul ghiaccio, tanto che dall'organizzazione lo pregarono in ginocchio di... andarsene!

"Correre sul ghiaccio fu un azzardo vero e proprio, ORECA mi chiese se volevo farlo e all'inizio rifiutai perché la ritenevo più una cosa da rallisti, abituati alla terra e alla guida sporca. Io venivo dalla pista e non era il mio stile. Il proprietario, invece, insistette perché credeva fortemente in me, sicuramente più di quel che facevo io! A quel punto non potevo rifiutare, quindi ci provai e già nella prima stagione terminai in Top5, cosa che non avrei mai immaginato. E poi è andata avanti per anni..."

"Dopo 5 vittorie il promoter cominciò a pensare ad un modo per livellare le prestazioni, aggiungendo dei pesi. Alla fine era chiaro che lo faceva apposta perché non dominassi, ma alla decima vittoria si arrivò al punto che mi chiesero di non correre proprio, oppure di non combattere più di tanto. A quel tempo era il mio lavoro invernale, per cui la cosa mi offese profondamente. Questo però aprì le porte ad un altra avventura, fu l'occasione per fare la Dakar".

Dopo 7 stagioni in giro per l'Europa, ecco la proposta di SEAT Sport per partecipare al Mondiale Turismo, novità per la quale Yvan stava cercando di prepararsi al meglio.

Yvan Muller
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"In realtà me l'avevano già chiesto prima, ma per due o tre anni rifiutai perché non mi ritenevo pronto. Nel 2006 invece fu la volta buona, anche se per me era tutto nuovo, dal campionato, alle macchine, al team. Mi fece molto piacere e la mia voglia di imparare e conoscere ambienti nuovi non si fermava più. Poi era coinvolta anche Oreca, con cui avevo già una conoscenza ottima. Anche in Spagna trovai una cultura molto diversa da quella cui ero abituato, ma un ambiente professionale che mi fece crescere".

"Se dovessi raccontarne una, direi l'episodio del 2007 che mi vide lottare per il titolo contro Andy Priaulx fino all'ultima gara. Ero in testa e lui fuori dalla Top10, quindi potevo essere Campione del Mondo, ma all'ultimo giro si verificò un problema alla macchina e mi ritirai. Un momento terribile per me, mi ha toccato per tanto tempo, ma mi diede anche la forza per ripresentarmi ancor più agguerrito nel 2008".

"Il mio compagno di squadra quell'anno era Gabriele Tarquini, un pilota fortissimo con cui mi sono rispettato sempre. Infatti andammo a giocarci il titolo a Macao facendo tutto assieme, dai viaggi alle cene e condividendo l'hotel. Vinsi io e fu una bella festa in tutto il team. L'anno seguente ci fu un altro episodio curioso, sempre a Macao. In Qualifica andammo a sbattere entrambi nello stesso punto e ci ritrovammo nel medesimo ospedale!"

"Quando corri a Macao devi sapere che è sempre difficile, ma lo è ancora di più quando lotti per il titolo. Decidere una stagione sul Circuito da Guia rappresenta sempre una scommessa, con un piccolo errore puoi buttare via tutto l'anno. E' difficile spiegare a parole quello che si vive là, una pista fantastica e difficilissima. Fa parte del lavoro, ti ritrovi al "Mandarin" che è la curva più veloce del tracciato e dove sei attaccato al muro, poi in tornantini stretti e pericolosi".

Nel 2010 il passaggio alla Chevrolet rappresentò la classica svolta, approdando in uno dei team più forti di sempre portando la Cruze ai vertici.

Rob Huff, Chevrolet Cruze leads Yvan Muller, Chevrolet Cruze at the start of the race
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"Mi chiamò il team manager Eric Néve in dicembre e mi propose un accordo triennale. Sapevo che c'erano due cose fondamentali da non sottovalutare. La prima: dimostrare che ero la scelta giusta e non un azzardo per loro. La seconda: sapere che è un progetto a lungo termine e non si deve avere fretta, cosa che ti capita quando vuoi vincere subito. I miei compagni erano Alain Menu e Rob Huff, due ossi duri, ma sapevo come gestire la cosa, soprattutto perché avevo davanti un team inglese, terra dove ero già stato. Andò tutto benissimo e arrivarono i tre titoli, uno con RML nel 2013 da privato sfruttando le basi gettate nel triennio precedente".

Meno bene andò invece l'avventura in Citroën, seppur la C-Elysée fosse a tutti gli effetti una macchina rivoluzionaria e cresciuta proprio da Muller. Che però si vide arrivare in squadra altri due mastini del motorsport...

"Penso che ogni stagione sia difficile alla fine, con tutte le sue caratteristiche e sviluppi, nel bene e nel male. In ogni anno ho fatto errori che potevano cambiare le cose, quindi li accetto e non mi rimprovero nulla. Forse quelli in Citroën sono stati i più duri degli ultimi 10, ero in un team completamente francese e paradossalmente non ero più abituato al metodo di lavoro e alla cultura! Loro hanno creduto molto in me e nelle mie capacità nello sviluppare una macchina turismo da zero".

"Hanno messo a disposizione tutto, ogni singolo elemento è stato studiato in modo da arrivare ad un'auto fantastica. Fu deciso di mettere in squadra due piloti diversissimi come Sébastien Loeb e José María López. Séb veniva dai rally e non aveva molta esperienza nelle corse in pista, mentre "Pechito" godeva del supporto di Citroën Argentina, era cresciuto là ed era alla prima avventura nel Mondiale. Entrambi si sono rivelati molto veloci, comunque. Infatti López ha vinto il titolo tre volte".

Yvan Muller, Citroen C-Elysée WTCC, Citroen Total WTCC

Yvan Muller, Citroen C-Elysée WTCC, Citroen Total WTCC

Photo by: XPB Images

Chiuso anche il triennio con "Le Double Chevron", per Muller giunse il momento di appendere il casco al chiodo e imboccare una strada nuova.

"Ammetto che a fine 2013 andai in Citroën con la convinzione che servissi più a sviluppare la macchina che altro. La mia carriera era già stata piuttosto lunga fino a quel momento e al termine del 2016 le motivazioni e le forze erano ormai finite. Ho sentito il bisogno di fermarmi e affrontare una nuova sfida. Quando ho annunciato il mio ritiro a Shanghai, due ore dopo è venuto da me Christian Dahl della Cyan Racing a propormi il ruolo di consulente per Volvo Polestar. Mi è piaciuta la cosa e ho cominciato a lavorare per loro, tutto il 2017 è stato molto bello e mi sono divertito".

"In realtà, quando mi fu chiesto di correre l'ultimo round in Qatar per aiutare Thed Björk, non fui molto contento e non ne avevo una gran voglia, ma accettai perché avevo capito che era l'unico modo per aiutare la squadra. In Qualifica arrivai in Top5 e capii di essere ancora veloce, però l'idea era di continuare a fare il consulente".

E qui si apre l'ennesimo capitolo, con il WTCC che muore e lascia spazio al WTCR, con altri marchi, squadre e... un Muller rinato!

Yvan Muller, Polestar Cyan Racing, Volvo S60 Polestar TC1

Yvan Muller, Polestar Cyan Racing, Volvo S60 Polestar TC1

Photo by: FIA WTCC

"Non avevo in programma di correre ancora, ma Lynk & Co voleva entrare con Cyan Racing nel WTCR per il 2019 per cui bisognava trovare il modo di imparare il format nel 2018. Ho messo in piedi il mio team collaborando con loro e ho pensato di affidare una macchina a Björk e l'altra a mio nipote Yann, mentre io avrei fatto il team manager. Era tutto pronto, ma lo sponsor principale ha preteso che fossi io uno dei piloti, quindi non ho potuto far altro che rimettermi il casco. Fortunatamente Yann ha trovato l'ingaggio da parte di un'altra squadra".

"Credo sia stata una bellissima stagione per la Yvan Muller Racing, ma anche molto dura perché eravamo impegnati in ELMS col programma LMP3, in GT4 e nel WTCR. Tre progetti così tosti in un anno sono stati pesanti, soprattutto perché quello del turismo si è deciso solo a febbraio e di corsissima per mettere insieme il budget. Pochi test, problemi tecnici e quant'altro al via, ma alla fine abbiamo lottato per il titolo piloti e vinto quello team, quindi non potevo che essere felice".

Yvan Muller, YMR Hyundai i30 N TCR

Yvan Muller, YMR Hyundai i30 N TCR

Photo by: Malcolm Griffiths

Il tutto si è poi tramutato in Lynk & Co Cyan Racing, la squadra allestita da Geely Motorsport sulle basi della vecchia Volvo Polestar WTCC.

"Ogni squadra cerca di fare il massimo possibile con il budget a disposizione. Quando parlammo coi vertici della Cyan Racing dei personaggi da avere nella mia squadra nel 2018, tutto era focalizzato sul vincere poi il titolo nel 2019, in primis quello per le squadre. La prima stagione di Lynk & Co è stata affrontata così, con grande impegno da parte di tutti e quattro i piloti coinvolti. Ci siamo riusciti ed è stato fantastico".

"Quest'anno io e mio nipote Yann saremo compagni di squadra in Cyan Racing Lynk & Co, sarà un affare di famiglia! Avrò tutti i miei cari con me nel box e debbo dire che il ritiro del 2016 mi ha consentito di passare più tempo con mia moglie e le mie figlie, prima non ne avevo avuto molto e non le avevo nemmeno viste crescere così bene. Sarà bello lavorare con Yann, c'è una grande differenza d'età e lui ha molta più motivazione di me perché è più giovane. Potrò condividere con lui tutta la mia esperienza e avere i parenti nel box è la mia motivazione".

A 50 anni Muller si sta preparando per l'ennesimo assalto al titolo mondiale (sarebbe il quinto), ma quale macchina si terrebbe stretta fra le numerose avute in carriera?

"Non è affatto facile sceglierne una, ne ho guidate tantissime in tutti questi anni e alcune erano veramente fantastiche. Mi viene da citare la BMW che avevo alla seconda stagione sul ghiaccio. Non era bellissima, ma aveva un motore 6 cilindri in linea con un suono veramente fantastico. Probabilmente la sceglierei per prima giusto per questo motivo!"

Yvan Muller, Polestar Cyan Racing, Volvo S60 Polestar TC1
Rob Huff, Chevrolet Cruze leads Yvan Muller, Chevrolet Cruze at the start of the race
Yvan Muller, Citroën World Touring Car Team, Citroën C-Elysée WTCC
Yvan Muller, Citroën World Touring Car Team, Citroën C-Elysée WTCC
Yvan Muller, Citroën World Touring Car Team, Citroën C-Elysée WTCC
Yvan Muller, Citroën World Touring Car Team, Citroën C-Elysée WTCC
Yvan Muller, Cyan Racing
Yvan Muller, Polestar Cyan Racing, Volvo S60 Polestar TC1, development driver
Yvan Muller, Polestar Cyan Racing
Yvan Muller, YMR Hyundai i30 N TCR
Yvan Muller, YMR Hyundai i30 N TCR
Yvan Muller, YMR Hyundai i30 N TCR
Yvan Muller, YMR Hyundai i30 N TCR
Yvan Muller, Cyan Racing Lynk & Co 03 TCR
Yvan Muller, Cyan Racing Lynk & Co 03 TCR
Yvan Muller, Cyan Racing Lynk & Co 03 TCR
Yvan Muller, Cyan Racing Lynk & Co 03 TCR
Yvan Muller, Cyan Racing Lynk & Co 03 TCR
Yvan Muller, Cyan Racing Lynk & Co 03 TCR
Yvan Muller, Cyan Racing Lynk & Co 03 TCR
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