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Analisi SBK: Dorna pensa al futuro, non a far contente le Case

Urge riequilibrare un Mondiale schiacciato dal dominio della Kawasaki, quindi serve un passo indietro dal punto di vista tecnico per fare in modo che la SBK torni ad essere il campionato dei team e non quello dei costruttori.

Jonathan Rea, Kawasaki Racing

Foto di: Gold and Goose / Motorsport Images

Jonathan Rea, Kawasaki Racing
Jonathan Rea, Kawasaki Racing with a gold bike
Roman Ramos, Team Go Eleven
Jake Gagne, Honda World Superbike Team
Il vincitore Chaz Davies, Ducati Team
Il secondo classificato Alex Lowes, Pata Yamaha, dà un colpetto sulla testa al terzo classificato Michael van der Mark, Pata Yamaha
Davide Giugliano, Honda World Superbike Team
Leandro Mercado, IodaRacing Team
Xavi Fores, Barni Racing Team
Eugene Laverty, Milwaukee Aprilia
Leon Camier, MV Agusta
Jordi Torres, Althea Racing, Roman Ramos, Team Go Eleven
Il terzo classificato Michael van der Mark, Pata Yamaha
Eugene Laverty, Milwaukee Aprilia
Lorenzo Savadori, Milwaukee Aprilia
Chaz Davies, Ducati Team
Chaz Davies, Ducati Team, Marco Melandri, Ducati Team
Jonathan Rea, Kawasaki Racing
Il vincitore della gara e Campione 2017 Jonathan Rea, Kawasaki Racing

Calato il sipario su i titoli mondiali SBK 2017, sostanzialmente nelle mani di Jonathan Rea e della Kawasaki dopo due round, la domanda che sta tenendo banco è molto semplice ma nello stesso inquietante: come si salva il massimo campionato delle derivate di serie dalla pericolosa china in cui è scivolato?

In questi mesi se ne è sentito di tutto e di più. Tastiere e microfoni autorevoli, addetti ai lavori, tecnici e ingegneri, appassionati, hanno dato vita ad un dibattito energico e fantasioso, segnale almeno univoco che bisogna intervenire.

Sul come, beh, il range delle soluzioni è quanto mai variegato e ci può stare. Meno che alcune soluzioni arrivino da chi mangia pane e SBK da anni. Anche sentire interpretazioni amene tipo che se Rea avesse adottato una tattica più “furba”, mascherando le sue reali potenzialità all’inizio gara per poi piazzare la zampata alla fine, alla Valentino Rossi degli anno d’oro, per intenderci, non si sarebbe sollevato tutto questo vespaio.

D’accordo che l’importante è parlarne (e di SBK quest’anno dal lato sportivo non c’è stato molto…), però vanno chiarite alcune cose prima di addentrarci in questo campo minato. Prima fra tutte è che qualunque soluzione tecnica venga adottata sul base del riequilibrio dei valori in campo, ci sarà sempre qualcuno scontento. Per questa ragione Dorna, il Promoter del Campionato, ha l’obbligo e il dovere di varare una soluzione quanto mai spedita per dare comunque modo alla Case di intervenire. Sentendo le ragioni di tutte ma senza aver bisogno dell’unanimità altrimenti si rimane impantanati nelle sabbie mobili e si sprofonda.

Le soluzioni, in un linguaggio semplice, sono due: o si spingono le Case meno competitive a immettere più risorse per cercare di colmare il gap con le più forti; oppure si abbassa il livello delle prestazioni, compattando il gruppo. La prima è francamente improponibile e nasce da un’idea un po’ “sognatrice” di una SBK che era e non è più. Appare evidente che Case come Aprilia, Honda, BMW, Yamaha, non vedono la SBK come un progetto prioritario, per non parlare di Suzuki, che manco partecipa. La cartina tornasole è la Honda, che quest’anno è andata incontro ad una stagione disastrosa eppure avrebbe avuto sicuramente i mezzi per intervenire in maniera decisa.

Ma non lo ha fatto, se non mandando Takahashi allo sbaraglio (tanto da dire che non c’è grande differenza tra CBR giapponese e quella del mondiale…) e un ingegnere HRC. Stop. Qualcosa faranno per il 2018, magari spinti dalla Red Bull, che non avrà certo apprezzato l’immagine della disfatta per il suo marchio, ma niente di così epocale. Sulla stessa lunghezza d’onda, con qualche ovvio distinguo, anche le altre Case, perché la MotoGP resta in cima a tutto il programma racing e perché vanno ottimizzate le risorse.

A questo bisogna aggiungere un’altra considerazione. Anche per la crisi delle supersportive stradali, oggi non è nemmeno più valida l’equazione vinci in SBK vendi più moto. L’esempio è rappresentato dalla BMW S 1000 RR e dalla Honda CBR 1000 RR, le supersportive più vendute sul mercato ma che non sono proprio le moto di riferimento nel mondiale. Per quale ragione una Casa dovrebbe investire pesantemente su un campionato senza un ritorno commerciale effettivo?

Resta la seconda soluzione e su questo piano si è indirizzata Dorna. In attesa che entri in vigore la centralina unica nel 2019, si è deciso di intervenire sulla parte tecnica, limitando i giri del motore. Semplificando, si parte dal regime massimo della moto di serie e si aggiungono più o meno 500 giri.

Senza addentrarci nell’aspetto tecnico specifico (si parla di un sensore di controllo posizionato sull’albero motore) quello che conta è la filosofia della decisione, non ancora ufficiale, che ha scatenato la reazione decisa di Aprilia e Kawasaki, le più penalizzate (si parla di una diminuzione di circa 1700 giri e di 1200 per Kawasaki) mentre Ducati, ugualmente penalizzata (700/800 giri circa) è propensa ad accettare la soluzione, anche perché per la Panigale è l’ultimo anno di utilizzo poi arriverà la quattro cilindri.

Una reazione comprensibile, soprattutto da parte di Kawasaki, che con il pacchetto Rea-Ninja anche il prossimo anno sarebbe stata difficilmente battibile. Ma la Kawasaki non pensa che un altro campionato sulla falsariga di quello di quest’anno, finirà per rendere sempre appetibile il prodotto SBK? Gli effetti si sono già visti in alcuni circuiti riguardo alle presenze, anche televisivamente il prodotto sta diventando noioso e scontato, vincere così non porta beneficio se non al palmares.

Inoltre, siamo poi sicuri che questa limitazione penalizzerà in maniera pesante la Kawasaki? Qualche ragionevole dubbio c’è. Lo scorso anno, nell’ultima parte di stagione, le vittorie a ripetizione di Davies avevano fatto pensare che la Ducati avesse colmato il gap. Così non è stato visto che nell’inverno la Kawasaki ha ripristinato le distanze. Il problema reale è che alzando l’asticella la Ducati e rispondendo la Casa giapponese, si è allargata ancora di più la forbice prestazionale con le altre moto. Lo dimostra il fatto che quest’anno i distacchi in gara sono spesso stati imbarazzanti, con “l’aggravante” che su 11 round (22 gare), gli altri, in questo caso solo Yamaha, hanno portato a casa solo 4 podi sui 44 disponibili, senza nessuna vittoria. Urge riequilibrare la situazione.

L’intervento Dorna non si ferma qui. C’è anche un aspetto economico che si interseca con quello prestazionale. Le Case dovranno mettere a disposizione dei clienti tutte le evoluzioni presenti sulle moto factory a costi calmierati, per far sì che anche un team privato possa avere il materiale ufficiale senza svenarsi. Che tradotto, vuol dire risparmiare sul materiale, avere moto più competitive e provare ad attirare piloti di maggior livello nel prossimo futuro, ora non interessati a moto che non hanno possibilità né di vincere ma nemmeno di salire sul podio.

Un circolo virtuoso che potrebbe ridare alla griglia di piloti una dimensione più adatta qualitativamente ad un mondiale ma soprattutto riposizionare un campionato che spesso sbanda dalla linea tracciata: ovvero quella di un campionato dei team e non delle Case, che privilegi lo spettacolo e l’equilibrio dei valori in campo senza scendere pesantemente a livello tecnico, che dia priorità ad un evento sportivo per gli appassionati sui circuiti e non sulle poltrone di casa davanti alla televisione. Quella filosofia che è stata l’anima della SBK passata e che dovrà essere per forza quella della SBK del futuro.

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