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Le Mans, la vittoria di chi sa di essere più forte

La tattica sorniona della Porsche ha illuso l'Audi che è caduta nel tranello privilegiando la prestazione all'affidabilità

Non è stata l'Audi ad avere perduto quanto la Porsche ad avere vinto. È così che deve essere archiviata questa edizione della 24 Ore di Le Mans. Attesa perché sul tavolo c'era una lunga serie di domande che le due corse del WEC precedenti, le 6 Ore di Silverstone e di Spa-Francorchamps avevano lasciate intatte.

Le risposte erano rimaste confinate nel mondo dei misteri persino nelle prime sei ore della maratona francese. Perché dopo avere dominato con facilità quasi irrisoria le qualifiche, le 919 davano l'impressione di non riuscire ad esprimere quello spunto importante per mettersi dietro le estreme, nelle soluzioni aerodinamiche, R18 e tron Quattro. Anzi parevano soffrire la condotta garibaldina di tutti i piloti di Ingolstadt che in qualifica mai erano riusciti ad avvicinarsi ai tempi dei nove portacolori di Weissach. Il mondo di Le Mans stava offrendo una versione capovolta delle teorie che tutti si erano costruiti. Le Porsche lepri, le Audi inseguitrici. Non era così:le Audi giravano in media tra i due e i tre secondi più veloci che in qualifica, le Porsche sembravano faticare a stare quattro secondi più alte che nelle prove.

L'Audi stava cogliendo di sorpresa i cugini? Si ad osservare le cifre parziali, no se si guardavano i volti degli ingegneri e dei tecnici che accudivano le 919. Perché il segreto della Porsche a Le Mans è stato proprio questo:sapere aspettare, non volere cascare nel cavallo di Troia che il dottor Urlhich e i suoi stateghi le avevano preparato. Costringerle a tirare sempre di più fino a renderle inoffensive quando la corsa sarebbe entrata nel vivo. La Porsche invece conosceva i propri punti forti e per una volta, ma quella fondamentale che vale più di una stagione intera, li ha sfruttati con una perspicacia che persino i rivali hanno dovuto riconoscere.

Ha innervosito l'Audi,  non reagendo ai sorpassi, restando a distanza di sicurezza, procedendo del passo che era stato studiato a tavolino, tenendosi sempre un margine, quello che a Ingolstadt non hanno potuto fare. Ha portato l'Audi a correre ogni stint come se fosse un Gran Premio. E quando è arrivata la notte ha mostrato le proprie carte. Lo aveva confidato Lieb venerdi: "mLa corsa si deciderà dalle 6 del mattino in poi". Si era certi in Porsche che la notte avrebbe cambiato le cose. Come dire: la tua arma è l'affidabilità? Bene ora noi interpretiamo la corsa con il vostro stile abituale e a voi di Audi facciamo recitare la nostra parte, sicuri che non riuscirete a reggere questo ritmo perché siete al limite. Non era quello che accadeva ai tempi gloriosi delle Gruppo C Porsche? Dietro a queste riflessioni c'erano certezze tecniche, non fantasie.

Minor consumo, miglior efficienza motoristica in presenza di temperature basse e finalmente gestione ottimale delle gomme, cosa che nelle due corse precedenti non era accaduto perché Le Mans non è né Silverstone e nemmeno Spa-Francorchamps. A parità di tempi sul giro la Porsche ha avuto un'efficienza migliore e una riserva di prestazioni maggiore. Le Audi no, quello che dovevano dare lo avevano già offerto, prendendosi fin troppi rischi, probabilmente nemmeno troppo calcolati.

Non si può gareggiare a Le Mans come se fosse un Gran Premio di Formula 1 infinito. Se si gira quasi sempre attorno ai 3'20" e ci si spinge a tempi vicini a quelli della pole position prima o poi qualcosa si rompe. Soprattutto se non hai la riserva di energia della quale le 919 dispongono per caratteristiche oggettive e che permette ai suoi piloti  di procedere con ragionata conserva per poi sfruttare il vantaggio solo quando è necessario.

C'è poi un altro fattore che ha portato l'Audi a peggiorare il proprio punto forte, che è sempre stato nel 2015 rispetto a Porsche la maggiore gentilezza nel risparmiare sui consumi di gomme. Per poter reggere il confronto sulle prestazioni pure tutte le R18 hanno dovuto adattare i propri assetti alla configurazione aerodinamica estrema che avevano scelto. Già più rigide di natura delle 919 sono quindi diventate meno risparmiose, più critiche nelle reazioni, più secche. Non è un caso che tutti i piloti di Ingolstad alla vigilia della corsa pregassero affinche non piovesse. In quel caso le difficoltà sarebbero aumentate e non solo per via delle complicazioni riguardanti la visuale dall'abitacolo che è un tallone d'Achille di tutte le LMP1 e e dell'Audi in particolare ma  perché per reggere il passo delle cugine l'aerodinamica è stata radicalizzata a tal punto da avere pochissimo carico nel retrotreno. Sufficiente per regalare sicurezza in condizioni normali, molto meno sull'asfalto viscido. In Audi  conoscevano il punto debole di un retrotreno che si alleggerisce troppo facendo perdere trazione e aderenza.  Se fosse piovuto allora sì per Audi sarebbe stata una disfatta.

Il motivo del trionfo Porsche alla 24 Ore è alla fine di una semplicità disarmante da spiegare: le 919 hanno obbligato le R18 a scendere sul terreno della prestazione pura. Le hanno illuse, hanno finto di essere spaventate, ma hanno sempre avuto il controllo della situazione, anche se non tutto è filato liscio. L'esemplare che si pensava essere di punta, quello di Jani-Lieb-Dumas ha vissuto una corsa piena di contrattempi. Si dice che le uscite del pilota svizzero e del francese fossero dovute a problemi ai freni. È solo parzialmente vero:gli errori dei due sono state conseguenze di guai di altra natura che hanno interessato i freni e il bilanciamento e che sono derivati dai settaggi del sistema ibrido e dall'elettronica che già al via avevano creato un grosso problema a Jani, privo della potenza necessaria per reggere la prestazione della vettura gemella di Bernhard. E la numero 17 giunta al secondo posto, ha pagato sia il minuto di penalità subito da Hartley e scontato da Webber, sia la regolarità ma non la prestazione assoluta dell'ex pilota di Formula 1. Se si osservano i cronologici, si nota quanto la 919 vincitrice con tutti e tre i propri conduttori sia stata di una costanza esemplare. Hulkenberg come un martello, Tandy in grado di gestire i propri stint, e Bamber all'altezza del pilota della Force India nel momento in cui, data la sua relativa minore esperienza, avrebbe potuto cadere nei tranelli tesi da Lotterer, Treluyer e Faessler.

La gara vera si è conclusa ben prima dello scoccare delle 24 Ore. Quando Faessler alle 7 del mattino si è fermato ai box per sostituire la parte destra della carenatura posteriore si è capito che per l'Audi Le Mans  era virtualmente conclusa. Poi sono arrivate le magagne al terzo esemplare di Bonanomi-Albuquerque-Rast mentre già allora la seconda Audi di Duval- Di Grassi-Jarvis era fuori dai giochi. Tutti i piloti di Ingolstadt dicono che avrebbero potuto vincere. Ma non è vero: se sei potenzialmente in inferiorità non puoi pretendere di essere anche affidabile per un giorno intero girando sempre al massimo.

Ora il WEC andrà in vacanza fino a fine agosto. La Porsche, per via del doppio punteggio, è passata al comando anche della classifica iridata. Timo Bernhard che assieme a Marc Lieb è un prodotto della filiera che dallo junior team della Carrera Cup tedesca porta i propri piloti sempre più in alto a precisa domanda ha risposto: "Le Mans è una corsa talmente particolare e a se stante che nessuno di noi si è particolarmente concentrato sul discorso del campionato e non per mancanza di rispetto nei confronti del WEC. Ma questo è un programma nato soltanto tre anni fa e noi abbiamo portato tre vetture al traguardo e due sul podio. È una vittoria che entra nella storia del motorsport e siamo orgogliosi di quello che abbiamo ottenuto come Casa".

Ha dimenticato di dire non solo che l'appetito vien mangiando ma che la prossima tappa sarà al Nurburgring. E non crediamo che a Weissach andranno in vacanza per i prossimi due mesi. Perché sanno che a Ingolstadt sono arrabbiati. E che di mollare proprio non hanno alcuna intenzione. Anzi....

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