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Intervista

Brembo: nei segreti di una staccata in MotoGP

L'ingegner Bortolozzo ci svela come è possibile soddisfare le esigenze dei top rider in frenata

Dettaglio della Yamaha YZR-M1

Dettaglio della Yamaha YZR-M1

Yamaha Motor Racing

La MotoGP è il campo di ricerca più esasperato nell’ambito delle due ruote: nonostante le regole della Dorna siano pensate anche con la finalità di limitare i costi, la ricerca non si ferma e le prestazioni crescono pur con i sempre nuovi limiti che vengono posti. Ne sanno qualcosa i tecnici della Brembo che forniscono dischi e pinze alla stra-grande maggioranza dei team impegnati nella top class del Motomondiale. Abbiamo sentito l’ingegner Lorenzo Bortolozzo, customer manager MotoGP, per capire qual è l’impatto dell’impianto frenante nelle prestazioni dei prototipi da 1000 cc.

“Negli ultimi anni le regole hanno imposto moto più pesanti, ma capaci di velocità sempre crescenti, per cui si è reso necessario aggiornare il nostro impianto frenante in carbonio”.

Quali interventi si sono resi indispensabili?
“Le moto in frenata generano un’energia cinetica che deve essere dissipata attraverso il calore che si genera dall’attrito fra il disco in carbonio e la pastiglia, anch’essa in carbonio. Fino a tre anni fa era possibile usare dischi con un diametro massimo di 320mm, ma con l’incremento delle velocità e del peso delle moto siamo arrivati molto vicini al limite delle performance e della sicurezza di questa tipologia di disco. Il carbonio lavora molto bene alle alte temperature, ma sopra certi limiti, specie se si superano più volte nell’arco di un giro di pista, s’innesca il fenomeno dell’ossidazione. Le performance calano, anche se non in maniera così drammatica, mentre cresce rapidamente l’usura di dischi e pastiglie, causando dei problemi di sicurezza. Il pilota percepisce un piccolo decadimento delle prestazioni, ma a fronte di questo calo si registra un forte aumento dell’usura, che può portare fino allo… sfilamento della pastiglia dalla pinza!”.

E come siete intervenuti?
“Fino a quando non è stato possibile ingrandire il diametro del disco per i vincoli dettati da Dorna e IRTA, abbiamo aumentato la superficie di attrito della pastiglia per facilitare la dissipazione del calore. Ma poi siamo arrivati al punto in cui non bastava più nemmeno quello…”.

Avete posto un problema di sicurezza agli organizzatori della MotoGP?
“Dorna e IRTA sono state molto sensibili al problema, visto che si era giunti molto vicini al limite di performance/sicurezza del materiale e dal 2014 ci è stato concesso di usare un disco maggiorato del diametro di 340 mm, mantenendo lo stesso spessore per non dovere cambiare anche le pinze. Oltre alla sicurezza e alle performance si sono tenuti in debito conto i costi per evitare che ci fosse un’escalation nelle spese”.

Il disco dal diametro di 340 mm è stato la soluzione?
“Molti team hanno abbinato il disco grande o a pinze con pastiglie a superficie maggiorata. Con il disco da 340 mm si può generare la stessa coppia frenante dei dischi da 320. Infatti già con i dischi da 320 mm i piloti, come era facile da vedere nelle riprese televisive, arrivavano al limite del ribaltamento della moto, vale a dire arrivavano a sollevare la ruota posteriore in fase di frenata. La modifica, generando la stessa coppia frenante, ha comunque generato degli effetti rilevanti: le pressioni in fase di frenata sono diminuite, si sono accorciati i tempi di frenata con una conseguente diminuzione delle temperature di dischi e pastiglie ”.

Qual è stata la differenza di temperatura sui dischi?
“Beh, c’è stato un abbattimento di circa 100 gradi fra i dischi da 320 mm e quelli da 340 mm! Se si considera che il picco massimo arriva a circa 800 gradi, si può capire come l’intervento sia stato drastico per migliorare la sicurezza del pilota”.

Raggiunta nuovamente la soglia di sicurezza, avrete lavorato anche ad un incremento delle prestazioni?
“Certo! Diciamo che con il disco da 340 mm i piloti della MotoGp dispongono di un “serbatoio” aggiuntivo di coppia frenante che possono utilizzare in staccate oltre il limite o quando si trovano in difficoltà. Va aggiunto che con il disco grande è stato più difficile modulare la frenata, anche se i piloti si sono adattati in fretta…”.

Cosa è cambiato?
“Con il disco da 340 mm c’è un bite iniziale maggiore rispetto a quello da 320 mm. E questo non è, ovviamente, un problema, ma poi, dopo il primo “morso”, i piloti tendono a modulare la staccata anche all’interno della curva. Nel senso che entrano in piega con la leva tirata e poi la rilasciano gradualmente sino a tornare ad accelerare”.

Questo cosa comporta?
“Che nella fase di modulazione, che non è più di massima frenata ma di controllo, i piloti hanno un comportamento più aggressivo sui dischi e, quindi, è stato più facile causare una “chiusura” dell’anteriore, come a volte è accaduto. I rider, quindi, hanno dovuto adeguare la loro tipologia di guida e la loro sensibilità in frenata alle caratteristiche dei dischi da 340 mm”.

Lo “staccatore” è quello che ne ha risentito di più?
“In realtà no, perché ci sono piloti che staccano con grandi pressioni iniziali come Cal Crutchlow e che poi mollano quasi subito il freno, mentre ce ne sono altri che danno una forte pressione iniziale e poi la modulano come Andrea Dovizioso, Valentino Rossi e Marc Marquez. Però ci sono rider più dolci in staccata, come Daniel Pedrosa e Jorge Lorenzo. I due spagnoli non frenano fortissimo, ma portano una grande velocità di percorrenza nella curva. Ci sono modalità diverse di gestire la staccata, per cui è difficile dire se uno frena meglio di un altro. Anzi, si può dire che ogni pilota ha una staccata diversa da tutti gli altri: c’è chi sta un po’ di più con la leva fra le dita e chi meno, c’è chi dà un forte impulso iniziale e poi abbandona il freno e chi è più dolce all’inizio e poi modula fino a rilasciare la leva”.

L’impianto Brembo “preferisce” una delle tre tipologie di staccata descritte?
“No, perché il coefficiente di attrito del carbonio è ottimo dai 200 agli 800 gradi, per cui è solo una questione di stile di guida del pilota. Va detto che nello sviluppo del sistema abbiamo avuto un grande aiuto da parte dei team che hanno lavorato per raffreddare meglio i dischi. Sono state cambiate le geometrie dei parafanghi per fare in modo di convogliare più aria sui dischi”.

Nel 2015 abbiamo visto un fiorire di prese d’aria per i freni?
“E’ esatto, ma sono dedicate alle pinze e non ai dischi”.

In F.1 l’impianto frenante viene usato anche per scaldare le gomme e con funzioni aerodinamiche: è lo stesso in MotoGP?
“No, si lavora esclusivamente per migliorare le prestazioni della frenata assicurando la sicurezza”.

Finora abbiamo parlato di raffreddamento dei freni, ma ci sono dei circuiti nei quali si usano degli artifici per riscaldare i dischi? L’esatto opposto…
“Sì, per esempio succede a Phillip Island dove si corre quando è inverno e ci sono basse temperature. In Australia, quindi, i team ricorrono a delle cover in carbonio per “vestire” i dischi in modo da mantenere le temperature minime di utilizzo oltre i 200 gradi. Lo stesso problema di solito si osserva anche ad Assen o a Le Mans quando le condizioni climatiche non sono quelle ideali. Va aggiunto che per i due diametri dei dischi abbiamo anche due specifiche diverse: quelli a “fascia alta”, con la massa completa, e quelli a “fascia bassa”, con una superficie molto scaricata per facilitarne il riscaldamento. Il disco in carbonio da 340 mm con la fascia bassa l’abbiamo introdotto da poco: i piloti hanno apprezzato questo mix, perché su certe piste non potevano utilizzare i dischi grandi non riuscendo a portarli in temperatura se era freddo. Così siamo riusciti a soddisfare tutte le esigenze, anche nelle situazioni limite”.

Se non si arriva ai fatidici 200 gradi ci sono problemi di sicurezza?
“No, il sistema funziona lo stesso, ma ci sono grandi differenze nelle prestazioni”.

Qual è stata la Casa più collaborativa nello sviluppo?
“Ogni marchio ha esigenze molto diverse in funzione dell’utilizzo della propria moto. Tutti i Costruttori collaborano nello sviluppo dell’impianto per trovare la massima prestazione in sicurezza”.

Volendo definire le differenze fra le MotoGp factory che aggettivo si può usare?
“La Ducati è la più esigente in fase di frenata, perché è la moto che più carica l’anteriore, mentre la Honda HRC è quella più gentile e, pertanto, sviluppa meno calore in staccata, probabilmente perché dispone del miglior freno motore. Questo aspetto tecnico è molto impattante nella staccata, ma noi non veniamo a conoscenza di questi dati che sono gelosamente tenuti segreti dalle squadre. Ducati e Honda, quindi, rappresentano i due estremi, mentre Yamaha e Suzuki si collocano nel mezzo. La Ducati utilizza quasi sempre dischi da 340 mm, mentre la Honda preferisce quelli da 320 mm”.

Fra il disco da 320 e quello da 340 mm c’è una differenza di peso?
“Sì, ma siamo sull’ordine di 100 grammi, vale a dire un valore che non viene avvertito dai piloti nell’handling della moto, visto che un disco pesa poco più di un 1,3 kg, mentre la massa di una cerchio montato di pneumatico è nettamente maggiore (quasi un ordine di grandezza in più)”.

In F.1 c’è il brake-by-wire: ci potrebbe essere un’applicazione anche nella MotoGP?
“A breve non credo proprio, vista la logica dei Costruttori di voler contenere i costi, mentre è più probabile che ci sia uno studio finalizzato al prodotto di serie del futuro e allora non sarà da escludere qualche test privato anche in MotoGP”.

E, allora, dove si orienta lo sviluppo dell’impianto frenante della MotoGp?
“In un’ottica futuribile si può pensare al passaggio ai dischi in carbo-ceramico e non solo in carbonio. Parliamo di una tecnologia che è già matura nel mondo dell’auto e fra qualche anno potrebbe essere portata anche in MotoGP”.

Quale sarebbe il vantaggio?
“Di disporre di una tecnologia che eviterebbe di avere il cambio moto fra l’asciutto e il bagnato: con l’acqua, infatti, serve un disco in acciaio che garantisce ottime performance con la pioggia. Ma questa è solo un’idea futuribile…”.

Nel 2016 le gomme Michelin prendono il posto delle Bridgestone: gli pneumatici francesi molto diversi da quelli giapponesi avranno degli influssi sulla frenata?
La gomma Bridgestone andava “maltrattata”, nel senso che aveva bisogno di frenate violente per essere portata in temperatura, mentre la Michelin ha caratteristiche diverse. Ha un ottimo grip posteriore e una diversa tenuta all’anteriore, almeno per ora. A detta dei piloti, se si mantiene lo stesso stile di guida in frenata, ci sono maggiori difficoltà, perché la copertura francese provoca più facilmente la chiusura dello sterzo. Siamo ancora in una fase sperimentale e non conosciamo le gomme definitive, ma le frequenti cadute dei test hanno evidenziato questa caratteristica. Anche noi stiamo aspettando di conoscere quali saranno gli pneumatici deliberati per adeguare il nostro impianto alle loro caratteristiche. Andremo all’inseguimento della Michelin”.

Vogliamo parlare anche del freno posteriore?
“Fino a qualche anno fa veniva “dimenticato” dai piloti, mentre ora viene usato sempre di più. Non tanto in fase di staccata, quanto in accelerazione per trasformarlo in una sorta di traction control utile a evitare il pattinamento del pneumatico. Il maestro di questa tecnica è stato Casey Stoner. E ormai tutti i piloti top sono arrivati a utilizzarlo sempre di più, perché permette di disegnare una traiettoria più vicina a quella ideale in uscita di curva”.

La telemetria dei team ha confermato che si possono trarre importanti vantaggi…
“I tecnici delle squadre consigliano i piloti a perfezionare l’uso del freno posteriore perché porta un guadagno nel tempo sul giro. E, infatti, se l’impianto anteriore esprime concetti piuttosto simili per tutti, nel posteriore si stanno evolvendo soluzioni molto diverse…”.

Insomma la ricerca non si ferma, ma si specializza sempre più. E la Brembo è pronta a fiutare ogni cambiamento per restare leader indiscussa del settore…

 

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