Ducati: il 2019 è un anno chiave, la Rossa si gioca molto del suo credito
Dopo la partenza di Jorge Lorenzo, la Ducati, che sarà presentata venerdì, affronta il Mondiale più importante degli ultimi tempi, un anno in cui sarà messa sotto esame la sua componente tecnica, ma anche quella filosofica.
Foto di: Gold and Goose / Motorsport Images
Sebbene possa sembrare assurdo, la Ducati quest'anno si assumerà un rischio simile o addirittura maggiore di quello che si è presa quando ha deciso di spendere 25 milioni di euro in due anni (2017 e 2018) per ingaggiare Jorge Lorenzo.
Facendo quella manovra coraggiosa, l'azienda di Borgo Panigale ha voluto rimuovere dall'equazione la variabile del pilota, per ottenere una radiografia perfetta e reale del potenziale della Desmosedici, per migliorarla quanto possibile.
Questo è il motivo per cui sono andati alla ricerca di uno dei piloti più forti della griglia, con la condizione di superstar di Lorenzo che è stata supportata dai suoi tre titoli di campione della MotoGP (2010, 2012, 2015).
Quando lo spagnolo ha indossato la tuta rossa, le aspettative erano così grandi che le tre vittorie che ha ottenuto, tutte nel secondo anno (Mugello, Barcellona e Red Bull Ring 2018) non le hanno soddisfatte.
La grande pressione che Lorenzo ha dovuto gestire per essere un top rider ora sarà divisa tra Andrea Dovizioso e la Ducati. E in seconda battuta, questa pressione ricadrà anche sulle spalle di Danilo Petrucci, anche se non gli si può chiedere di fare le stesse cose di Dovi.
I responsabili dell'organizzazione del Reparto Corse hanno deciso di cambiare modello, in qualche modo spinti anche dall'Audi, che è la proprietaria dell'azienda. In ogni caso, sono loro i responsabili dell'addio di Lorenzo e ora devono accettare che potrebbero essere giudicati per questo motivo con la stessa rigidità che hanno utilizzato nei confronti dello spagnolo.
Specialmente se teniamo presente che ciò che verrà valutato non è solamente la competitività della moto, ma anche la filosofia del team. Raggiunto questo punto, questa sfida potrebbe portare la Ducati nell'Olimpo o farle fare un passo indietro. E questo significherebbe aver buttato alcuni anni di lavoro.
Nel caso in cui lottasse nuovamente per il titolo (non parliamo di vincerlo), la nuova strada intrapresa sarebbe più che giustificata. Non solo, l'immagine dell'azienda ne uscirebbe anche rafforzata, perché avrebbe raggiunto questi obiettivi con una struttura tutta italiana.
Ma se la Ducati non trova il modo di continuare a crescere (per farlo, i piloti dovrebbero superare le sette vittorie ottenute nel 2018, una risultato raggiunto solo quando Casey Stoner ha vinto il titolo nel 2007), si troverà in difficoltà, perché in un certo senso verrebbe messa in dubbio questa filosofia.
Fallire vorrebbe dire ricevere un pugno diretto per l'identità del marchio, che a quel punto sarebbe costretta ad aprire nuovamente il libretto degli assegni per tornare sul mercato piloti. Implicitamente, una mossa del genere sarebbe interpretata come una mossa di rassegnazione o, peggio ancora, l'evidenza di un fiasco.
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