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Bartocci: "Salvo perché mi ero slacciato le cinture!"

Nell'intervista esclusiva il pilota romano rivela come si sopravvive ad un rogo devastante

É tornato a casa da un paio di giorni. Dopo quasi due mesi di tormento nell'Ospedale Sant'Eugenio di Roma. È stato dimesso in anticipo sulle previsioni dei medici per le caparbietà con cui Giorgio Bartocci ha affrontato questo ritorno alla vita: chi l'ha visto imprigionato a Brno nella Lamborghini Gallardo che era una palla di fuoco, lo considera un miracolato. Ha avuto i suoi momenti di scoramento, perché intorno a sé vedeva che c'era chi stava peggio di lui, eppure le sue condizioni erano serie, molto serie. Ustioni di secondo grado sul quaranta per cento del corpo (le gambe e il bacino), due costole rotte e un braccio fratturato. Alcuni vicini di stanza meno coriacei, ma non meno coraggiosi non ce l'hanno fatta, mentre il pilota romano ha combattuto la sua battaglia e ha vinto la gara più importante. È per questo appende il casco al chiodo? “Io ho già dato. Ventuno anni fa proprio di questi tempi ho fatto un incidente stradale. Era un frontale contro un tir: io sono sopravvisuto, mentre mio padre che guidava ne è rimasto vittima. L'automobilismo è uno sport duro, che può essere cruento. Io ho una passione innata: a Roma ho un negozio di auto e vivo di automobili, ma questa volta mi sono messo una paura immensa pensando a mia moglie e mia figlia. Sono stato troppo male a non averle vicine. É per loro che non ci sarà nessun ritorno alle corse”. Il morale si sta riprendendo stando a casa, ma il fisico come è messo? ”La gamba sinistra è già a posto, non ho più le bende. Domani vado a fare la prima medicazione al Sant'Eugenio da paziente esterno. In penso che dopo quattro o cinque medicazioni alla gamba destra, che era la più bruciata dalle ustioni, dovrei togliere le bende. Il decorso è molto lento perché sulle cicatrici si formano dei duroni e si gonfiano. Ho ordinato delle guaine in silicone, hanno la forma delle mute dei sub: quanto più a lungo si tollerano tanto più è possibile che non si formino i duroni”. Quanto è stata dolorosa questa esperienza drammatica? “A Brno sappiamo tutti cosa è successo e non voglio parlare di cose negative, ma devo dire nell'ospedale ceco i medici sono stati molto bravi e hanno fatto un ottimo lavoro. Mi hanno inciso e hanno fatto in modo che le ustioni non... lavorassero sotto, perché la sensazione è chi ti mangia da dentro, e si estende se non le apri. Anche il fissatore è stato messo in modo corretto stando all'autorevole parere degli ortopedici romani”. Anche a Roma ha avuto momenti difficili... ”Sono stato riempito di antidolorifici, di morfina. Non mi vergogno di dire che quando sono arrivato a Roma ha temuto le prime medicazioni: la notte prima non dormivo per la paura. Le fanno da sveglio: l'ustione in sé non si sente più di tanto, ma appena si viene toccati sono dolori violentissimi. E paradossalmente sono più dolorose le ustioni superficiali perché c'è una maggiore sensibilità nervosa rispetto a quelle più gravi”. Ha dovuto sopportare tre interventi chirurgici... “Il peggiore è stato il terzo: non lo auguro a nessuno perché sono stato una settimana disteso sul letto a pancia in giù. Un vero supplizio, ma ho superato anche questo! Con la prima operazione mi hanno fatto la pulizia togliendo tutta la pelle morta, nella seconda mi hanno fatto degli innesti di pelle tolti dalle gambe. C'è uno strumento che leva il primo strato di pelle che poi si mette sulle parti interessate. C'è un'altra macchina che da un lembo di pelle riesce a dilatarlo fino a farne un pezzo enorme che poi si affetta come fossero fogli di carta. Questi innesti dietro alle cosce e sui glutei imponevano di stare a pancia sotto perché hanno bisogna di stare all'aria. Nessuno credeva che avrei resistito una settimana!”. E che effetto fa vedere il mondo dal vetro di una camera asettica? ”Mia figlia l'ho rivista solo due giorni fa, anche se per me è stato un grande dospiacere, non l'ho fatta venire in ospedale perché è piccola: ha soli tre anni e mezzo. Non era un bello che vedesse tutto quello che mi circondava. E credetemi fa un brutto effetto vedere i cari dal vetro, parlando con un interfono. Ci si sente isolati, eppoi ho assistito a dei momenti difficili perché ci sono stati dei decessi nella camera accanto. Queste esperienze minano il morale. Io sono una persona di carattere molto forte, ma anch'io ho vacillato: ci sono cose che non si dimenticano per tutta la vita”. A mente fredda si attribuisce qualche colpa dell'incidente a Brno? “No, colpe non me ne do. Ero già con le ruote dritte all'uscita dell'ultima curva. Ero di terza a limitatore e stavo mettendo la quarta marcia. Con due ruote sono andato oltre il cordolo sul tappeto verde di erba sintetica. La Gallardo ha le quattro ruote motrici e il differenziale a controllo elettronico avrà letto qualcosa di sbagliato in centralina: all'improvviso era come se un fantasma mi stesse girando il volante e ho visto il muro che si avvicinava in fretta: mi sono subito reso conto che sarebbe stato un brutto botto. Quando ho sbattuto nel muro ho avuto la prontezza di staccare la cintura con la mano sinistra”. Un gesto istintivo che può averle salvato la vita... ”Non c'è dubbio. Non avevo avuto la percezione della velocità nell'impatto, ma mi sono salvato perché senza cintura sono finito mezzo fuori dalla macchina, altrimenti sarei bruciato nell'abitacolo. Con la temperatura che c'era nessuno sarebbe riuscito ad aprire la fibbia delle cinture e sarei morto sicuramente”. Vengono i brividi solo a sentire il racconto... “Nessuno voleva credermi, anzi c'era chi addirittura aveva insinuato che fossi partito con le cinture non allacciate. Il botto contro il muro è stato di 32 g: se non fossi stato legato sarei volato fuori dal parabrezza. Poi ho avuto la prontezza di sganciarmi con la mano sinistra”. E poi ci hanno pensato Babini a Fitzgerald ad estrarla dall'abitacolo ancora in fiamme... “Ringrazio Fabio, un amico, anzi lo considero un fratello: è lui che mi ha insegnato a guidare le macchine da corsa. E non posso dimenticare Manfred e un meccanico del team di Venturi che mi hanno permesso di uscire dalle fiamme. Ci tengo a ringraziare tutti i medici che mi hanno seguito del Sant'Eugenio. Un pensiero va a tutte le persone, parenti, amici e conoscenti che mi hanno fatto arrivare il loro supporto in giorni molto duri. E sono riconoscente a mia moglie per tutto quello che ha fatto e ha dovuto sopportare...”. Caro Giorgio, bentornato nella vita di tutti i giorni...

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