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Angelelli: "Giusto chiudere la mia carriera a Daytona"

Max Angelelli con la vittoria alla 24 ore abbandona il ruolo di pilota per concentrarsi ancora di più sui suoi impegni con il team. E svela come il trionfo in Florida non sia dovuto soltanto al motore ma alla bontà della Dallara

Vincitore della gara Max Angelelli, Wayne Taylor Racing

Vincitore della gara Max Angelelli, Wayne Taylor Racing

Michael L. Levitt LAT Photo USA

#10 Wayne Taylor Racing Cadillac DPi: Ricky Taylor, Jordan Taylor, Max Angelelli, Jeff Gordon
#5 Action Express Racing Cadillac DPi: Joao Barbosa, Christian Fittipaldi, Filipe Albuquerque; #10 W
I vincitori della gara #10 Wayne Taylor Racing Cadillac DPi: Ricky Taylor, Jordan Taylor, Max Angele
#10 Wayne Taylor Racing Cadillac DPi: Ricky Taylor, Jordan Taylor, Max Angelelli, Jeff Gordon
#66 Ford Performance Chip Ganassi Racing Ford GT: Joey Hand, Dirk Müller, Sébastien Bourdais
#10 Wayne Taylor Racing Cadillac DPi: Ricky Taylor, Jordan Taylor, Max Angelelli, Jeff Gordon

Max Angelelli appende il casco al chiodo con una vittoria alla 24 Ore di Daytona. Lo fa con quell'equilibrio che ne ha sempre contraddistinto l'intera carriera. Non è mai stato un pilota con la valigia e per questo ha trovato degli ostacoli a volte insormontabili sulla propria strada. Ma ha posseduto l'intuito di sapere scegliere, di andare controcorrente per costruirsi un percorso che dal titolo italiano di Formula 3 del 1992 lo ha portato alle vette dell'automobilismo americano in modo inusuale. Se, per dirla alla Esenin, "la fortuna è sapienza di mente e di mani" Angelelli può dire di possederla.

Perché ha compreso, in anticipo sui tempi, che per diventare un pilota professionista bisognava guardare oltre più che altrove, creare passo dopo passo un futuro che ora è presente: quello di poter permettersi di restare nell'ambiente recitando da protagonista in un altro ruolo. L'incontro con Wayne Taylor è stato fondamentale ma allo stesso tempo è la lucidità con la quale il pilota bolognese ha usato la propria ottica che gli ha permesso di diventare il deus ex machina di un progetto al quale teneva ormai da anni. Già nel 2015, quando era noto che  sarebbero nati nuovi prototipi della LMP2 , Angelelli sapeva che avrebbe dovuto rivolgersi alla Dallara per creare una collaborazione con il marchio General Motors. Lo diceva nei tempi non sospetti della corsa iridata del WEC di Austin, dove le vetture dell'Imsa prendevano parte alla gara di contorno, e lo ha confermato quando dalla Fia è giunta la certezza che le LMP2 delle due sponde dell'Oceano  sarebbero state unificate sul fronte del telaio, potendo poi contare sulla differenza di propulsori e di livrea aerodinamica.

"Il progetto non è nato come marchio Cadillac. Abbiamo guardato in giro, valutato, proposto alla General Motors l'idea. Poteva essere accettato chiamandosi Corvette o in altro modo ma è stata la Casa madre a decidere che per i prototipi americani avremmo dovuto sfruttare la Cadillac, con la quale c'era già stato un forte rapporto di collaborazione. Così ci siamo guardati attorno, valutato le offere telaistiche e conoscendo la Dallara, la sua professionalità e qualità, ci siamo indirizzati sull'azienda di Varano de Melegari. Ed ora siamo qui con una doppietta alla prima corsa, quella più nota e popolare a livello internazionale del nostro campionato".

"Il secondo step ha riguardato il tipo di motorizzazione che avremmo dovuto adottare. Le opzioni erano numerose. Un motore aspirato o uno sovralimentato ma alla fine la preferenza è andata verso questo otto cilindri- realizzato in collaborazione con la ECR Technologies di Richard Childress, mago della Nascar- che ha sicuramente un vantaggio in termini di potenza nei confronti dei rivali ma che allo stesso tempo pesa di più, cosa che in molti a Daytona non hanno considerato. Noi come Cadillac ci portiamo appresso un peso superiore di almeno 20kg rispetto agli altri e questo influsice anche sulle prestazioni del telaio. Perché non abbiamo la possibilità di usare la zavorra e soprattutto di spostare il bilanciamento di questa verso l'avantreno o il retrotreno. Qui le cose sono andate bene ma a Sebring la situazione potrebbe cambiare proprio perché le caratteristiche di quell'autodromo sono molto differenti".

Come giudichi il potenziale della Dallara?
"Molto importante. La vettura va fortissimo e non è solo una questione, ci tengo a precisarlo, di propulsore. È nata bene ed è molto competitiva. Piuttosto siamo ancora nella fase di sviluppo perché non abbiamo avuto troppo tempo a disposizione per i collaudi. Alla vigilia della corsa siamo dovuti intervenire su alcuni particolari.  Per esempio proprio il venerdi abbiamo portato la scatola del cambio in un istituto molto lontano da Daytona per analizzare eventuali crepe o fenomeni torsionali e realizzare in fretta e furia delle modifiche. Per questo dico che la vittoria alla prima corsa e la doppietta, al di là delle polemiche per il sorpasso di Taylor ai danni di Albuquerque, rappresenta per noi un bel biglietto da visita. Con i chilometri percorsi nella 24 Ore abbiamo incamerato parecchi dati e fatto conoscenza con una vettura che secondo me ha delle potenzialità straordinarie e superiori alla media".

Con quale spirito appendi il casco al chiodo?
"Con assoluta serenità. Ormai il lavoro con il team era diventato molto impegnativo e bisognava scegliere quale strada intraprendere. Non è semplice pilotare e allo stesso tempo occuparsi di tanti altri aspetti organizzativi. E poi capivo che anche per l'armonia interna sarebbe stato importante prendere una sola strada. La decisione è definitiva ma ancora non mi rendo conto che il mio ultimo turno di guida-ndr quello che ha preceduto lo stint finale di Ricky Taylor- è stato quello conclusivo della mia carriera. Per il resto cambierà ben poco perchè proseguirò a lavorare come ho sempre fatto in questi anni e anzi avrò l'occasione di dare ancora di più per la crescita di questa squadra e della Cadillac".

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