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Roland Ratzenberger, il giorno prima

Agghiacciante la fine dell'austriaco con la Simtek. Un monito che la F.1 non aveva capito...

Per i grandi gruppi editoriali c’è solo Ayrton Senna. Libri, dvd, collane, film, celebrazioni. Ricostruzioni e retroscena. “Magic” si merita tutto questo: il mito del più grande sopravvive a se stesso. Sono passati venti anni, sembra ieri. Roland Ratzenberger, invece, era un comprimario e tale è rimasto. Il corso della storia della Formula 1 non sarebbe cambiato solo per la sua tragedia in quel 30 aprile 1994, sebbene la sua tragica fine avesse toccato nel profondo Ayrton, il tre volte campione del mondo. È triste ammetterlo, ma è una verità. Tutto si è concatenato in quel maledetto weekend del Gp di San Marino, nel quale sembrava che Dio avesse deciso che di F.1 non si dovesse più parlare. Una sequenza di fatti, coincidenze e drammi che resterà come un buco nero nella storia delle corse. Indimenticabile. E di monito. Il giorno prima c’era stato il “volo” di Rubens Barrichello sulle protezioni della Variante Bassa con la sua Jordan 194 – Hart. Sembrava l’uomo Ragno che si arrampicava sulle reti della pista: non era un film, né c’erano effetti speciali. Era tutto vero. Il sordo tonfo della scocca sull’asfalto ci riportò alla realtà. L’urlo del motore si era spento in aria, lasciando il sonoro dello schianto. Rubens era stato miracolato. Non era il suo tempo, ma i medici non lo avevano lasciato correre. UNA GENERAZIONE DI PILOTI INVINCIBILI Nel Circus era cresciuta una generazione di piloti che non sapeva cosa significasse la morte in pista. L’ultima tragedia in gara era stata quella di Riccardo Paletti in Canada. Era il 1982: dei 28 piloti iscritti al Gp di San Marino 1994 solo Michele Alboreto aveva vissuto il dramma del giovane occhialuto milanese. Poi nell’86 il crash di Elio de Angelis nei test al Paul Ricard con la Brabham BT55. Sulla “sogliola” di Gordon Murray si era staccata l’ala posteriore e il romano si capotò prima che la monoposto prendesse fuoco: i soccorsi ritardarono perché ai test privati non c’erano le stesse misure di sicurezza che ai Gp e Elio spirò il giorno dopo per i fumi roventi respirati per sette minuti. La cruda lezione era servita al Circus, ma le note del delizioso suonatore di piano non si sarebbero più ascoltate. ROLAND AVEVA VINTO IL F.FORD FESTIVAL E per un’ala si è compiuto anche il destino di Roland. Austriaco di 33 anni: era nato il 4 luglio del 1960 a Salisburgo. Le corse erano il suo credo. Una passione che è riuscito a trasformare in professione. Ha cominciato bambino a costruirsi i carrettoni. Del resto respira l’aria del Salzburgring uno dei circuiti velocissimi, dove il coraggio contava quanto le doti di messa a punto. Non era un campione, ma aveva talento e una profonda motivazione. E non aveva i soldi. Un handicap pesante per un pilota. Vince il F. Ford Festival a Brand Hatch nel 1986 con la Van Diemen: è una sorta di campionato del mondo della specialità, con piccole monoposto addestrative. Svetta su 126 avversari: Ratzenberger come una quindicina di altri vincitori è poi approdato alla F.1 (gli ultimi sono stati Mark Webber, Jenson Button e Anthony Davidson). Una buona fucina di talenti. Ma il percorso per arrivare al Circus è lungo. HA CORSO ANCHE PER MARKO Fa la gavetta nella Formula 3 inglese, prova nel DTM grazie al connazionale Helmut Marko: lo scopritore di Sebastian Vettel, gli offre una Mercedes 190E 2.3-16 del team RSM Marko per correre al Nurburgring. Ma è in Giappone che si afferma e diventa famoso: disputa la F.3000 Japan prima con il team Noji International, poi con Stellar International e comincia a vincere. E a guadagnare i primi soldi di una carriera irta di difficoltà. Altri si sarebbero arresi molto prima, non Roland. Il “Topo di montagna”, questa è la traduzione del suo cognome, non si chiude nella tana. L’ESPERIENZA GIAPPONESE Nelle gare di durata è chiamato dalla Toyota Team TOM'S che è la squadra ufficiale del colosso nipponico: s’impone al Fuji e a Suzuka, si piazza alla 24 Ore di Daytona e nel 1993 vince la classe C2 alla 24 Ore di Le Mans con la Toyota Sard divisa con il nostro Mauro Martini e Naoki Nagasaka. Divide la sua esistenza fra il Sol Levante e Monte Carlo. Nel Principato conosce Barbara Behlau, che gestisce delle sponsorizzazioni e gli trova il budget per fare il salto in F.1. IL PROGETTO SIMTEK Le risorse sono sufficienti a iniziare la stagione: 5 Gran Premi, per cominciare. La monoposto è la Simtek S941 con motore Ford HB 3.5 V8 progettata da Nick Wirth. Una macchina acerba destinata alle ultime file della griglia. Il tecnico era il “figlioccio” del presidente della FIA, Max Mosley, con il quale era stato socio alla March, e aveva avviato la Simulation Technology Research Ltd, una società di consulenza che aveva realizzato la galleria del vento della Ligier con le sovvenzioni del Governo francese, studiando poi due progetti di F.1 per la BMW nel 1990 e per la Bravo GP che non videro mai la luce. Ma l’esperienza acquisita Nick Wirth la vuole mettere in campo e fonda la Simtek Gran Prix con Jack Brabham, il tre volte campione del mondo per partecipare al mondiale 1994. UNDICESIMO AL GP DEL PACIFICO Un pilota è David Brabham, figlio dell’australiano, l’altro è Roland che porta i soldi della Russell Athletic. Scopre subito che la sua è una “macchinaccia”: tutte le risorse sono riservate al compagno di squadra e deve arrangiarsi con il materiale che gli mettono a disposizione. In Brasile non si qualifica, mentre debutta nel Circus ad Aida: parte 26esimo nel Gp del Pacifico e conclude la gara 11esimo. Il “Topo di montagna” realizza il suo sogno: grazie all’esperienza in Giappone sopperisce alle carenze della S941 e vede la bandiera a scacchi. Il ragazzo che aveva studiato meccanica alla scuola professionale di Salisburgo e che aveva fatto il meccanico nella scuola di Walter Lechner ce l’aveva fatta: era diventato un pilota da Gp e il suo nome sarebbe finalmente apparso nella mitica Guida Marlboro, la “Bibbia” delle statistiche di F.1 prima dell’avvento di Internet curata da Jacques Dechenaux. QUEL TESTACODA ALLA TOSA Non sapeva che sarebbe stata la prima e ultima apparizione. Perché a Imola Roland è andato incontro al suo destino. Un testacoda alla Tosa durante le prove del sabato: “spizzica” l’ala anteriore contro il cordolo molto alto. L’austriaco è convinto di non aver riportato danni e riparte: anziché tornare ai box per controllare che tutto sia a posto, decide di lanciarsi per un altro giro. E nel tratto di maggiore velocità sul dritto che dal Tamburello porta alla Villeneuve si stacca un pezzo d’ala che vola via come fosse un gabbiano: l’aumento del carico aerodinamico produce lo strappo. Una parte del profilo, invece, finisce sotto alla macchina e così le ruote anteriori si sollevano e perdono il contatto con l’asfalto. A oltre 300 km/h Roland prova a frenare, prova a sterzare ma non può fare niente. Una situazione simile, molto simile che il giorno dopo farà gelare il sangue ad Ayrton Senna con il piantone rotto. Ratzenberger si è schiantato contro il muro della Villeneuve consapevole del suo destino. L’urto violentissimo è stato fatale. Tremendo. Mentre la sua Simtek piroettava disintegrandosi fino alla Tosa, il casco di Roland, bianco e rosso come i colori dell’Austria, ciondolava avanti e indietro come se nell’abitacolo ci fosse un pupazzo e non un uomo. UN MONITO NON ASCOLTATO La monoscocca aveva un enorme buco sul lato sinistro. Gli effetti del crash sono devastanti: compressione toracica, frattura della base cranica e dissanguamento per lacerazione dell’aorta. I medici che lo hanno soccorso hanno avuto una visione spaventosa perché il sangue pulsava copioso dalla visiera del casco. Sarebbe morto sul campo. Un massaggio cardiaco, invece, lo ha rianimato. Giusto in tempo per farlo giungere all’Ospedale Maggiore di Bologna dove poi è spirato. Non doveva spegnersi in pista, l’autodromo sarebbe stato messo sotto sequestro. E lo show si sarebbe fermato. Quel campanello d’allarme non è stato ascoltato. La Formula 1 era uscita dai suoi… binari. Ayrton non se ne dava pace: aveva fatto un sopralluogo della pista, voleva capire cosa era successo. Ha parlato con Sid Watkins, il medico FIA e ha litigato con i commissari. Lui aveva capito. E noi a Imola abbiamo pianto ancora. L’ultimo e il più grande…

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