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Spa F1: ecco la testimonianza dell'Odissea di una spettatrice

Abbiamo raccolto la testimonianza di Elena Todisco, giovane ragazza di Monopoli, che ha avuto la disavventura di voler assistere al suo primo GP di F1 a Spa: ecco il suo racconto che mette in luce anche tutte le peripezie per lasciare l'autodromo belga e per tornare a casa dopo la gara farsa. Si tratta di un resoconto che rende perfettamente cosa hanno vissuto gli appassionati in circuito domenica. E deve far riflettere tutto il Circus...

Tifosi attendono sotto la pioggia la partenza del Gra Premio

Steven Tee / Motorsport Images

Dopo aver passato oltre sette ore e mezza sotto la pioggia battente per vedere un Gran Premio che non si è corso, quando hanno esposto le bandiere rosse dopo i due giri dietro la Safety Cara, prima ancora che confermassero la definitiva cancellazione della gara, abbiamo deciso di uscire dal circuito.

Abbiamo camminato dalla Campus all'Eau Rouge, per uscire nel punto esatto in cui la navetta ci avrebbe recuperati, ma la navetta, purtroppo, era piena ai limiti della capienza, con gente fradicia e bambini in lacrime ammassati e ricoperti di fango.

Siamo entrati senza speranza di sederci, coscienti che ci avremmo messo moltissimo tempo visto il meteo e il traffico. Siamo rimasti più di un’ora letteralmente immobili nel parcheggio, avremo percorso una decina di metri, poi l’autobus si è mosso ma sempre lentamente, dietro una coda enorme. La misura che vorrei darvi per farvi un'idea: abbiamo fatto 22 chilometri in due ore e dieci. Quando siamo arrivati a Verviers, l'amara scoperta: avevamo perso l'ultimo bus per Liegi.

Niente uber, niente alberghi. I taxi non rispondevano o lasciavano in attesa, più di sessanta persone letteralmente a terra senza idea di come tornare a casa (e questo è solo il piccolo esempio della nostra tratta). Momenti di incertezza e sconforto.

Verviers conta 54 mila abitanti, ha una stazione piccola e di notte c'è un solo dipendente e parla solo francese. La maggior parte di noi, come si può immaginare, non lo capisce benissimo. Una signora messicana sembra intendere che ci sia un bus in arrivo.

Davvero? Fantastico. Sono le dieci e dieci, l'ultimo treno che da Liége porta a Bruxelles parte alle undici e cinque. Una trentina di chilometri, senza traffico, dovremmo farcela. Il problema è che aspettiamo e aspettiamo e aspettiamo, ma questo bus non arriva mai.

Ma a che ora era previsto? Non era previsto, lo ha chiamato l'omino della stazione. Cerchiamo di farci forza a vicenda anche se siamo stanchi e infreddoliti e non andiamo in bagno da undici/dodici ore. Chiacchieriamo in molte lingue, veniamo da tutto il mondo. Parliamo per un'ora e oltre, senza presentazioni. Ci raccontiamo le nostre impressioni e condividiamo lo sconforto. I soldi spesi, le difficoltà.

Ci sono due ragazzi irlandesi che hanno speso 450€ a testa per il solo ingresso della domenica, all'Eau Rouge. Una coppia che se li era regalati per l'anniversario, una comitiva aveva inserito il Gran Premio all'interno dell'itinerario di un road trip in centro Europa. Per molti di noi era il primo Gran Premio dal vivo e siamo stati tutti d'accordo nel dire che probabilmente sarà anche l'ultimo.

Finalmente, alle undici e venti, dopo quasi due ore di attesa in piedi, arriva un bus. Ci precipitiamo alla fermata, sembra un film. Per Liegi? L'autista dice di no. Carlos, il bambino di otto anni, si mette a piangere. Siamo tutti molto provati. L'omino della stazione, dopo essere sparito ed essersi preso insulti, scende dal suo ufficio e va a parlare con l'autista del bus, gli spiega la situazione. Gli dice:"hai visto cosa è successo a Spa? Sono rimasti bloccati."

L'autista decide di allungare il suo turno di un'altra ora e di portarci fino a Liegi. Ci riversiamo sul bus come una mandria, come se volessimo abbatterlo, e appena seduti gli facciamo un lungo e commosso applauso. È il nostro driver of the day. A quanto pare, arrivati a Liegi, ci aspetta un altro autobus. L'incubo sembra finito. Perfino le chiacchiere si diradano, sostituite da pensieri più tangibili: una doccia, una valigia da preparare. Ma arrivati a Liegi, ecco la seconda batosta. Non ci sono più bus.

Un inserviente ci scorta al piano superiore di un alloggio, ci dà dell'acqua e ci fa usare il bagno. Per me, che ho il ciclo, è la prima volta in otto ore. Per la ragazza russa che mi presta i fazzoletti, la prima in dieci ore. Un piccolo sollievo. A Liegi scopriamo che l'omino della stazione di Verviers, che tanto avevamo insultato, si è prodigato per cercare davvero una soluzione.

A quanto pare, ci stanno chiamando dei taxi per accompagnarci a Bruxelles. Le tempistiche, però, sembrano lunghe. Noi dobbiamo tornare al B&B per fare i bagagli e prendere un aereo alle sei. Abbiamo i telefoni scarichi, siamo a digiuno e già un po' raffreddati. Un ragazzo di Padova ci presta la sua powerbank, e in quel momento sembra di sognare.

Riempiamo sei taxi per Bruxelles, due per Bruges e uno per Maastricht. Nel nostro c'è un ragazzo indiano che ha girato tutta l'Europa. L'autista non ha il navigatore e ci chiede di cercare la strada su google maps. All'una e quaranta, arriviamo alla stazione centrale. Sette ore dopo, riusciamo a lasciarci alle spalle il Gran Premio del Belgio e a tornare a casa. Questo incubo, finalmente, volge al termine. Ho due voli da prendere, zero ore di sonno a mio carico e tanta tristezza. Quando le cose sono troppo belle per essere vere, di solito non sono vere.

Elena Todisco

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