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Analisi

Honda-F1: storia di addii, ritorni e mezze verità

Ripercorriamo l'epopea di Honda in F1 nel giorno dell'ufficializzazione del suo ennesimo addio che avverrà alla fine del 2021. Tanti gli addii, così come i ritorni in pompa magna, ma tutti con un minimo comune denominatore: le mezze verità dette o celate.

Ayrton Senna, McLaren MP4/4

Ayrton Senna, McLaren MP4/4

Sutton Motorsport Images

Quella di Honda in Formula 1 è una storia dal sapore antico, affascinante, di tira e molla, di entrate convinte al pari dei ritorni, ma con tutte un minimo comune denominatore: un'uscita dal Circus iridato che ha spesso portato le medesime, incomprensibili modalità. L'ultima di queste è arrivata questa mattina, con uno scarno comunicato stampa che spiega i motivi di un addio che, sino a pochi giorni fa, poteva sembrare fantascienza.

Un'addio in pieno stile della Casa di Sakura: improvviso. Ma anche discutibile, se si pensa alle tempistiche e, allo stesso tempo, agli enormi progressi fatti con le proprie power unit nel corso delle ultime due stagioni, da quando ha lasciato una McLaren in decadenza e si è legata a team solidi come AlphaTauri (Toro Rosso) prima, e Red Bull poi.

Una storia, quella di Honda, che possiamo considerare ciclica. Nei modi di entrata, così come nei modi di addio. Come detto, la heritage del costruttore giapponese si insinua nei terreni più profondi della storia della categoria regina del motorsport a 4 ruote. Nel 1964 Honda decise di entrare in Formula 1 con un team tutto suo, tutto giapponese, eccezion fatta per il pilota.

Honda, le radici in F1 dal 1964

Richie Ginther, Honda

Richie Ginther, Honda

Photo by: Motorsport Images

Divenne l'unica squadra - assieme alla Ferrari - ad avere una monoposto fatta completamente in casa, dal telaio al motore. L'avvio in F1 fu promettente, perché già l'anno successivo centrò il primo successo, arrivato al Gran Premio del Messico con Richie Ginther. Questa ormai primordiale avventura, benché subito soddisfacente, non durò più di 4 anni. Honda decise infatti di ritirarsi dalla F1 nel 1968 a causa della morte di Jo Schlesser avvenuta al Gran Premio di Francia di quell'anno proprio al volante di una monoposto nipponica.

Questa fu la prima occasione in cui Honda decise di spiegare i motivi del suo ritiro dando solo una verità parziale. La morte di Schlesser ebbe certamente ripercussioni sulla squadra, ma va sottolineato come Honda ebbe una grave crisi economica dovuta alle vendite a picco nel fondamentale mercato statunitense.

Anni 80 - Il rientro da fornitore di motori

 

Per rivedere Honda impegnata nuovamente in Formula 1 i fan hanno dovuto attendere 15 anni. Per di più, la casa nipponica scelse di entrare solo come motorista, evitando di riabbracciare una sfida affascinante come quella di avere un proprio team ufficiale, ma assai dispendiosa a livello economico. Honda si legò dapprima a un team minore come la Spirit, per poi fare un passo importante e fornire i propri propulsori a Lotus, McLaren, Tyrrell e Williams.

Grazie a questi legami, Honda riuscì a centrare ben 6 titoli Costruttori e 5 Piloti. Un bottino da leccarsi i baffi con monoposto (una su tutte, la McLaren MP4/4), per una delle dinastie motoristiche più longeve a livello di successi consecutivi che, negli anni, sarebbe stata affiancata da Ferrari e Mercedes (quest'ultime, però, anche come costruttori). A quel punto, Honda, mollò ancora il colpo.

Anni 90 - La parentesi targata Mugen

 

A portare avanti la tradizione dei "cuori" giapponesi in F1 fu la Mugen, costruttore motoristico giapponese fondato nel 1973 da Hirotoshi Honda, figlio del fondatore della Honda Motor Company. Mugen (che in giapponese significa "senza limiti") ha sempre collaborato a contatto di pelle con la Casa nipponica, sebbene non sia mai entrata a far parte delle proprietà di Honda.

Mugen fece da preparatore di motori Honda per alcuni team tra gli anni 90 e il 2000, portando a casa 4 vittorie (3 grazie alla Jordan con Damon Hill a Spa nel 1998 e i due successi di Heinz-Harald Frentzen l'anno successivo a Magny-Cours e Monza; ma anche al singolo acuto di Olivier Panis al pazzo Gran Premio di Monte-Carlo nel 1996). Pochi successi, tante rotture. L'avventura Mugen termina all'inizio del 2000, quando Honda decide di tornare come Costruttore, ma sempre fornendo solo i motori.

2000 - Il legame con BAR e il ritorno del team ufficiale

 

Si tratta di un'avventura affascinante, sulla carta, fatta da uomini nel pieno della propria carriera - su tutti Jacques Villeneuve - e un team sostenuto da capitali ingenti garantiti da British American Tobacco. Nasce la BAR - British American Racing - con cui riuscì ad arrivare il solo secondo posto nel Mondiale Costruttori 2004, sebbene fossero stati investite somme enormi di denaro. Insomma: tanta spesa, poca resa.

A quel punto Honda decise di accrescere la propria presenza nella BAR, acquisendo una partecipazione azionaria nel 2005, ossia l'anno successivo dell'ottimo campionato fatto dal team che schierava Jenson Button. Honda salì al 45% delle azioni della BARH Limited, mentre il 55% rimase alla British American Tobacco. Pochi mesi dopo, Honda acquisì l'intero pacchetto azionario, divenendo così la controllante esclusiva della società e, quindi, anche della squadra di Formula 1.

2009 - Il grande rimpianto Brawn

 

Dopo l'ennesima scommessa economica, Honda puntava decisamente alla vittoria di quei titoli iridati che, da costruttore, non erano mai arrivati. Dei risultati attesi, nemmeno l'ombra. Mentre sul tavolo di Sakura si continuavano a contare magre figure, i vertici della Casa giapponese, in cuor loro, stavano già maturando quella che sembrava una fine inevitabile che, puntualmente, si materializzò alla fine del 2008.

Anche in quel caso, le prestazioni sportive fecero da parafulmine per altre motivazioni. Nel 2008 scoppiò una delle più pesanti crisi economiche a livello mondiale che, nemmeno a dirlo, coinvolse in maniera pesante anche il mondo dell'automotive. Honda non riuscì a rimanere immune dagli effetti di tale piaga e così a farne le spese fu proprio il programma madre del motorsport. Il resto, come si suol dire, è storia. Il management guidato da Ross Brawn rilevò il team il 27 febbraio del 2009 e il 6 marzo venne ufficializzato il passaggio di proprietà, con l'addio conseguente di Honda alla Formula 1.

Brawn, in quella stagione, riuscì a compiere un vero miracolo, trionfando al primo e unico anno da costruttore con una monoposto già progettata e fatta. Uno dei più grandi rimpianti della storia di Honda, perché se avesse resistito ancora un anno avrebbe portato a casa i tanto sospirati titoli Costruttori e Piloti (grazie a Jenson Button) da team capace di costruirsi tutto in casa. Invece, questa, rimarrà una delle più grandi macchie nella storia di una Casa così nobile come quella giapponese.

2015-2021 - Disastro con McLaren, lampi con Red Bull

Max Verstappen, Red Bull Racing RB16

Max Verstappen, Red Bull Racing RB16

Photo by: Motorsport Images

Il proverbio dice: "Non c'è due senza tre". Evidentemente anche Honda ha pensato così, perché nel 2015 ha tentato nuovamente di sbarcare il lunario. Niente team ufficiale, ma solo progettazione, preparazione e fornitura di power unit per la Formula 1. Honda e McLaren tornarono ad essere partner con il preciso intento di ripetere la strepitosa serie di vittorie ottenuta una ventina di anni prima. Il progetto - ormai è storia - fallì miseramente. I propulsori Honda parevano obsoleti, scarni di potenza e di spunto tanto da far diventare celebre il team radio di Fernando Alonso "GP2 engine!", coadiuvati da monoposto che, di McLaren, avevano solo il marchio sui musetti.

La separazione avvenuta è stata inevitabile. A raccogliere l'eredità del team di Woking è stata la Toro Rosso, oggi AlphaTauri, con cui Honda a oggi ha colto il suo ultimo successo in Formula 1 arrivato al Gran Premio d'Italia 2020 grazie a Pierre Gasly. Ma è con Red Bull che Honda sembrava poter tornare a far paura a tutti. L'accoppiata con il team di Milton Keynes è stato sin da subito più che buono. Poi, ecco l'annuncio odierno, proprio nel momento in cui Honda avrebbe potuto raccogliere i frutti di quanto seminato negli anni precedenti.

"Carbon zero" è il motto con cui Honda ha abbandonato il progetto power unit che, a ben vedere, sembrava essere sulla buona strada per diventare vincente. Viene da chiedersi per quale motivo sia sempre il progetto Formula 1, dopo una storia fatta di 77 vittorie complessive, a rimetterci in situazioni come queste, e non altri programmi che Honda ha nel motorsport. La sensazione è che, sebbene l'intenzione di Honda sia nobile e certamente nei piani, non sia stato detto tutto ciò che è necessario sapere per poter comprendere a fondo le motivazioni di questo addio, per una storia, quella di Honda, che continua a regalare addii improvvisi, rientri in pompa magna, ma sempre conditi da mezze verità.

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