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Intervista

Hamilton: "Vi racconto quello che non si vede in un mondiale"

Dopo la conquista del settimo titolo mondiale Lewis Hamilton ha raccontato ad un ristretto gruppo di giornalisti qual è stato il suo contributo allo sviluppo della W11 e della squadra. Lewis non parla del lavoro in pista, ma del contributo che ha dato conoscendo gli uomini del team e delle strutture a disposizione. L'inglese ammette di aver compreso quest'anno il pieno valore di Michael Schumacher in qualità di trascinatore di un team alla vittoria.

Lewis Hamilton, Mercedes-AMG F1, e Andrew Shovlin, Capo ingegnere di gara, Mercedes AMG

Foto di: Steve Etherington / Motorsport Images

L’apparenza inganna. Il mondo dei social che oggi invade il nostro quotidiano porta a pensare che una foto o un video siano la quotidianità di chi le posta, che il momento ritratto sia la fotografia h24 di una persona.

Accade spesso con Lewis Hamilton, che usa molto la comunicazione attraverso i suoi canali, proponendo una vita alternativa e molto intensa al di fuori del contesto del Motorsport. C’è chi vede in questo percorso parallelo di Hamilton un allontanamento dal mondo dei motori, che sarebbe messo in secondo piano rispetto ad altri interessi. È un grande errore di valutazione, smentito da Lewis in ogni weekend di gara.

Al di là del valore aggiunto che Hamilton garantisce puntualmente alla sua squadra ogni volta che scene in pista, c’è anche un Lewis che spinge non meno di quello in casco e tuta, un vero e proprio timoniere che negli anni è cresciuto in un ruolo tecnico che opera lontano dai riflettori.

In questa intervista emerge un lato poco considerato dell’Hamilton top-driver, conosciuto molto bene dalla Mercedes, e non secondario al riconoscimento dello status che Lewis si è guadagnato all’interno della squadra. Ne ha parlato all’indomani della conquista del settimo titolo Mondiale, rivelando aspetti inediti e valutazioni che aiutano a completare il ritratto di un campione.

Tra quelle che ti hanno portato al titolo Mondiale, questa stagione è quella che si avvicina i più ad una teorica idea di perfezione?
“Non ricordo bene ogni singolo anno. Credo che sia stata dal mio punto di vista la stagione più completa, a tutto tondo, arrivata con una progressione naturale. La lunga pausa che ci ha imposto il Covid è stata sfruttata per concentrarci sulle aree più deboli, ad esempio abbiamo analizzato i motivi per cui nel 2019 la performance in qualifica non era stata eccezionale. Credo che ci sia stato un passo avanti importante su questo fronte, non me lo aspettavo ed è stata una piacevole sorpresa”.

Come sono arrivati i passi avanti in qualifica?
“Si potrebbe dire che il motivo principale sia stato il mantenimento delle stesse gomme del 2019, che ha consentito il proseguimento di un lavoro già in corso anziché dover ricominciare daccapo. La mia comprensione su come utilizzare al meglio gli pneumatici è un processo iniziato da molto, ma quest’anno ho potuto dedicarci più tempo, e più tempo l’ho avuto a disposizione anche per capire la macchina, le problematiche tecniche, il setup".

"Durante un fine settimana in pista ci sono tante variabili su cui puoi intervenire e che sono in grado di fare la differenza. In passato arrivavo in qualifica e non avevo in testa tutto ciò che potevo ottimizzare, come ad esempio le impostazioni del differenziale, quest’anno non ho lasciato nulla al caso, cercando di usare il tempo a disposizione nel weekend in un modo migliore ottimizzando l’interazione con miei tecnici”.

Essere così vicini alla perfezione può rendere difficile pensare di poter alzare ancora il livello il prossimo anno…
“Certo. Qualsiasi atleta che ha raggiunto il vertice nella sua disciplina non può che confermare quanto diventi difficile fare un ulteriore passo avanti. Ma non bisogna forzare, io so dove devo lavorare per essere al massimo della forma mentalmente e fisicamente, e ci sono sempre dei margini di miglioramento, magari più piccoli, ma ci sono. Credo che in gara oggi il mio livello sia molto buono, ma ho identificato degli elementi che potrebbero essere miglioriabili”.

Parlando della gestione delle gomme, pensi che la tua evoluzione come pilota su questo aspetto sia stato un processo costante o c’è stato un momento in particolare nel quale hai pensato che avresti dovuto dedicare maggiori energie?
“Ne sono consapevole da quando correvo in GP2. Se guardi indietro alla mia gara in Turchia in GP2, ci sono aspetti che ho messo in pratica in quella corsa che utilizzo ancora oggi. Ma gestire al meglio le gomme è una problematica che non si limita solo alla guida, ma si combina con il lavoro che svolge la squadra, ed è stato davvero interessante l’evoluzione che abbiamo portato avanti in questi anni. Quando ero alla McLaren mi ero posto delle domande, in termini di preparazione degli pneumatici dalle temperature ed altre cose, ma non mi hanno mai ascoltato, facevano le cose a modo loro".

"Quando sono arrivato in Mercedes ho avuto molti confronti su questo argomento, ho chiesto di poter provare cose nuove mirate alla gestione gomma che toccavano aspetti come setup e pacchetti aerodinamici. Ho esercitato molta pressione sulla squadra chiedendo dove volevo l'equilibrio aerodinamico, ad esempio. Dopo il 2014 abbiamo progressivamente spostato molti parametri, io chiedevo e gli ingegneri verificavano nelle simulazioni i risultati, a volte ho avuto ragione altre no, ma va benissimo anche quando sbaglio, perché anche questo fa parte dell’apprendimento".

"Questo processo ci ha però portato a pensare fuori dagli schemi, a provare cose diverse che magari in precedenza non avevamo mai preso in considerazione, e quando riesci a fare un passo avanti hai la conferma che vale la pena percorrere strade nuove".

"Nelle occasioni in cui abbiamo ottenuto un buon risultato ci siamo detti: ‘Vedi, se siamo più aperti a nuove idee, anche se inizialmente suonano folli, andremo sempre avanti’. Questo è uno dei passaggi che ci ha aiutato a continuare ad alzare il livello, abbiamo un approccio migliore di quello che probabilmente c’era nel team prima che arrivassi io”.

Come pilota, ti soddisfa maggiormente centrare un obiettivo come quello che ci hai appena descritto o mettere assieme un giro in qualifica sul bagnato come hai fatto in Austria?
“Sono soddisfazioni differenti, e non c’è una migliore dell’altra. Adoro quando la sfida è guidare sul bagnato in qualifica, perché devi letteralmente sentire la macchina nel suo comportamento di base, contano un po' meno i dettagli".

"In termini di aiuto allo sviluppo della macchina, negli ultimi anni ho pensato spesso a Michael, a ciò che è riuscito a fare. Non è un aspetto facile da cogliere dall’esterno, e non lo capivo neanche io: vedevo una monoposto competitiva e Michael che vinceva gare e campionati. Ora posso comprendere meglio cosa ha fatto, capisco cosa vuol dire essere in un team e diventarne il timone, avere a disposizione un grande gruppo di ingegneri davvero bravi ed appassionati".

"Ovviamente il team principal è colui che prende molte delle decisioni importanti, ma in termini di sviluppo della monoposto, in termini delle decisioni e delle direzioni da prendere per progredire, il pilota ha un ruolo molto importante, e oggi posso dire di essere molto orgoglioso di aver dato il mio contributo. Purtroppo le persone non riescono a vedere tutto questo lavoro che avviene dietro le quinte”.

Come avviene nel quotidiano questo tipo di lavoro?
“Ogni settimana vedo il team in meeting FaceTime o Zoom, e mi sento costantemente con Bono e gli ingegneri. Chiedo sempre a diverse persone della squadra di partecipare a tali riunioni, mi piace essere costantemente aggiornato sullo stato di avanzamento dei lavori sulla monoposto, mi interessano le criticità che stanno affrontando".

"A volte vado nella galleria del vento e chiedo al responsabile degli aerodinamici, ‘ok, portami a vedere cosa state facendo sulla macchina’. Sono affascinato da come lavorano, mi spiegano gli ostacoli da superare, e sono sempre allineato su come procede l’attività. E poi mi piace parlare direttamente con le persone che lavorano sulla monoposto, avere un filo diretto senza filtri".

"Alla fine di ogni stagione mi siedo sempre con Bono e gli altri ragazzi del team e chiedo loro di godersi la soddisfazione per quanto siamo riusciti a fare ma anche di scrivere eventuali criticità ed aspetti che possiamo migliorare nel nostro modo di interagire, e lo stesso faccio io. Poi condividiamo le osservazioni e valutiamo come venirci incontro per risolvere il tutto”.

 

Lo scorso anno ti lamentavi sempre dell’avantreno della monoposto, che James Allison definì un ‘budino’ per far capire quanto fosse morbido.

“Ho sempre preferito un avantreno molto preciso, ma c'è una limitazione che impongono gli pneumatici che stiamo utilizzando. Il problema è che con il bilanciamento meccanico puoi intervenire fino ad un certo punto, poi subentrano problemi di saturazione e degrado termico, è come un’altalena. Lo scorso anno la nostra macchina era decisamente forte nel posteriore, e questo causava un comportamento sottosterzante che non era possibile eliminare del tutto intervenendo sulla meccanica. Abbiamo così fatto delle modifiche sulla monoposto 2020 grazie al bilanciamento aerodinamico, ed oggi abbiamo angoli di sterzo ed imbardata differenti che complessivamente stanno funzionando molto meglio”.

 

Ha menzionato l’importanza del progressivo miglioramento che ha permesso alla squadra di progredire, e del contributo che hai dato su questo fronte. Puoi portarci un esempio di come la monoposto 2020 sia migliorata rispetto a quella dello scorso anno?

“Ci tengo a dire che questo ruolo non è alla portata di tutti i piloti semplicemente perché non tutte le squadre lo permettono. Quando ero alla McLaren facevano quello che volevano, gli ingegneri erano convinti di saperne sempre e comunque più del pilota, e a volte non erano proprio a loro agio nell’ascoltare l’opinione di chi guidava la monoposto. Quando sono arrivato in Mercedes questo aspetto è stata una delle novità che ho apprezzato maggiormente. Ovviamente il mio approccio non è del tipo ‘facciamo questo o facciamo quello’, chiariamo, ma ci confrontiamo e se ho un’idea la butto li: ‘che ne dite se valutiamo questa possibilità?’. È un lavoro di gruppo, una collaborazione reciproca, gli ingegneri valutano e poi tornano con i loro risultati che promuovono o meno una soluzione, quindi ti senti parte di un gruppo che opera in modo compatto. Ad esempio, la monoposto dell'anno scorso era molto lunga, e ricordo che restai un po' sorpreso quando vidi che nessuno dei nostri avversari era andato in quella direzione. Avevamo già vinto con una vettura molto lunga nel 2017, e siamo rimasti su quella filosofia, a vantaggio di una grande deportanza ma con la controindicazione di una guida non agile nelle curve lente. L’anno scorso la nostra macchina era buona nelle curve ad alta e media velocità, ma era piuttosto scarsa nelle curve a bassa velocità. Quest’anno nei test invernali la macchina aveva ancora caratteristiche simili e ho parlato a lungo con la squadra per cercare di trovare una soluzione ai problemi di rotazione della vettura, non posso dire troppo, ma quelle difficoltà le abbiamo risolte, non abbiamo più quel problema”.

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