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Addio Ferrari-Vettel: tutti i perché del divorzio

Dopo sei anni il pilota tedesco lascerà la Scuderia a fine anno. Alla base della separazione il ‘no’ di Seb al ridimensionamento offerto da Maranello. Il sogno del Mondiale al volante della rossa, accarezzato nel 2017 e 2018, resterà tale e non senza rimpianti.

Sebastien Vettel, Ferrari

Foto di: Zak Mauger / Motorsport Images

Lo stallo nelle trattative tra Sebastian Vettel e la Ferrari era trapelato già la scorsa settimana (e riportato da Motorsport.com). Per recuperare la situazione era necessario un passo indietro da parte di una delle due parti, ma sia Seb che i dirigenti della Scuderia sono rimasti ben saldi nelle rispettive posizioni.

La naturale conseguenza non poteva che essere la separazione (che sarà probabilmente annunciata ufficialmente nelle prossime ore) ma ormai trapelata e confermata da più fonti. Non sono volati stracci, ma il divorzio consumatosi a Maranello non è stato ad alto tasso di consensualità, perché la storia tra Vettel e la Ferrari non era avviata ad una conclusione naturale, come è stato nel caso di Kimi Raikkonen.

Diceva Marilyn Monroe che quando un amore finisce uno dei due soffre, se non soffre nessuno allora non è mai iniziato, se soffrono entrambi, non è mai finito. Questa vicenda sembra rispecchiarsi nel primo caso, e a soffrire maggiormente è Vettel.

Seb avrebbe potuto proseguire la sua esperienza a Maranello, ma per farlo avrebbe dovuto accettare le condizioni poste dalla Ferrari, che molto probabilmente saranno state chiare e ferme: contratto di un anno, ed un ridimensionamento sul fronte economico. È ipotizzabile che sul tavolo la proposta della Scuderia sia stata un allineamento su tutti i fronti con la posizione di Charles Leclerc, stesso compenso e stesse priorità, una conseguenza dell’analisi di ciò che Vettel ha fatto vedere in pista nell’ultimo biennio. Per Seb accettare queste condizioni avrebbe comportato la tacita ammissione che nel 2018 e 2019 non ha rispettato le aspettative della squadra, un passo non semplice da fare.

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Non è una questione di soldi in sé, ma di ciò che i soldi (e la durata del contratto) rappresentano. “Se guadagni tanto è perché meriti e vali tanto”, diceva Ayrton Senna, confermando che il denaro per i piloti è un’altra classifica da scalare (non meno importante di quella del Mondiale) e perdere posizioni non è facile da accettare per nessuno, soprattutto per un quattro volte campione del Mondo che per la prima volta si è trovato ad affrontare una situazione di questo tipo.

La posizione della Ferrari non è figlia di una decisione recente, ma probabilmente l’effetto di una situazione nata da tempo, forse in una data ben precisa: il 22 luglio 2018, giorno in cui Seb finì contro la Sachs-kurve di Hockenheim.

Tutti realizzarono che il leggero ma fatale impatto sulle gomme poste all’esterno del tratto più lento del Motodrome avrebbe avuto conseguenze sull’esito del Mondiale 2018, ma nessuno poteva immaginare che quell’uscita di pista sarebbe stato il primo atto di una lunga serie di eventi che ha portato alla fine del rapporto tra Vettel e la Ferrari.

Quella prima crepa si è velocemente allargata, una fessura cresciuta ogni volta che Seb ha commesso degli errori (e ne ha commessi parecchi) intaccando l’immagine di un pilota da Mondiale. A non aiutare è stato anche il confronto con il rendimento ‘error-free’ di Lewis Hamilton, che guida si un’altra monoposto, ma che di fatto ha garantito quel contributo che ha permesso alla Mercedes di far suoi i titoli Mondiali 2017 e 2018, traguardi con due Bottas non sarebbero arrivati.

A Maranello hanno fatto sempre quadrato intorno a Vettel, considerando anche l’investimento economico stanziato nell’estate del 2017, quando l’allora presidente Sergio Marchionne concesse al tedesco un contratto triennale per una cifra complessiva (sussurrata nel paddock) intorno ai 100 milioni di euro.

L’ultimo ‘beau geste’ della Scuderia si è visto lo scorso settembre a Singapore, quando la squadra ha messo il tedesco nelle condizioni di tornare alla vittoria, sacrificando il lanciatissimo Leclerc.

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Un’operazione nobile, quella di Mattia Binotto, simile a quella degli allenatori di calcio quando non sostituiscono un giocatore dopo un errore clamoroso. Richiamare in panchina un’atleta in difficoltà vuol dire farlo uscire tra i fischi e distruggerlo psicologicamente, ed un ‘mister’ d’esperienza lo sa bene: meglio andargli incontro e provare l’operazione di recupero. Poi, però, arriva il giorno in cui tirare le somme e pensare al futuro di una squadra, un momento in cui non si possono fare sconti.

Per Vettel e la Ferrari quel momento è arrivato nel mese di aprile, quando le trattative sono entrate nel vivo. Binotto ha sempre sottolineato che Seb sarebbe stato la prima scelta, e così è stato, ma le due parti si sono trovate davanti ad ostacoli insormontabili.

Vettel ha amato molto la Ferrari, ma non tanto da consentirgli di mettersi in discussione, e non è certo il primo pilota nella storia della Formula 1 (anche recente) a non riuscire a fare un passo indietro. Tra le doti dei campioni c’è quella di un’autostima superiore alla media, senza la quale sarebbe difficile gestire la pressione che non manca mai quando ci si trova ai piani alti, ma in certe circostanze questa dote può rivelarsi un limite.

Come sempre sarà il tempo a dire se Vettel ha fatto o meno la scelta giusta, unico giudice che emette verdetti inappellabili sulle scelte di ogni sportivo, anzi, di ogni uomo.

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