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Red Bull nel cul de sac per trovare un motore

Il team di Milton Keynes spinge perché si anticipino le nuove regole sui motori di F1 nella speranza di trovare un Costruttore che scelga la Red Bull come squadra ufficiale, ma allora non avrebbe senso rilevare il materiale Honda per proseguire in proprio con la power unit giapponese, sostenendo costi esorbitanti solo per due o tre stagioni. Ma l'alternativa è tornare a essere team cliente di Renault o Ferrari rinunciando all'idea di lottare per il il titolo.

Max Verstappen, Red Bull Racing RB16, pit stop

Max Verstappen, Red Bull Racing RB16, pit stop

Steven Tee / Motorsport Images

La Red Bull dice di avere tre opzioni per sostituire il motore Honda dal 2022, ma il team di Milton Keynes non si trova di fronte a una scelta facile.

La mancanza di nuovi Costruttori interessati a entrare in F1 in tempi brevi restringe molto il campo. Non bisogna essere dei veggenti per capire che le possibilità sono limitate e, forse, tutte insoddisfacenti per una squadra che ha l’ambizione di sfidare la Mercedes nella lotta per il titolo mondiale.

Durante il weekend dell’Eifel c’è stato un incontro di Luca De Meo, CEO Renault, con i responsabili Red Bull: un meeting cordiale nel quale si è cercato di cancellare gli antichi dissapori che alla fine del 2018 avevano portato a un clamoroso divorzio per il passaggio ai motori giapponesi dopo un anno di rodaggio effettuato dall’allora Toro Rosso.

L’interlocutore, quindi, è diventato il manager italiano che rappresenta il vertice della Casa francese e non Cyril Abiteboul, il capo del programma sportivo che aveva subito gli attacchi più violenti di Helmut Marko e Christian Horner.

Un modo diplomatico per riaprire una collaborazione che sarebbe imposta dalle regole FIA: chi non fornisce motori clienti sarebbe obbligato a concedere una fornitura alla squadra che è rimasta senza. Ma si tratterebbe, comunque, di un matrimonio senza amore, con i contraenti pronti al litigio per qualsiasi banale ragione.

E, allora, in questi giorni si sente molto parlare dell’idea di proseguire il rapporto con la Honda, rilevando tutto il materiale di F1 per proseguire con la power unit giapponese in proprio, magari rinominando il motore con il marchio di uno sponsor come era già successo con Tag-Heuer fino al 2018.

La Honda, oltre al Centro Ricerche di Sakura dove operano oltre 1000 ingegneri, dispone di un reparto dedicato all’assemblaggio delle power unit proprio a Milton Keynes, in una sede non distante dalla base della Red Bull. Le evoluzioni dei motori vengono studiate in Giappone, ma la gestione delle unità per la F1 avviene in Gran Bretagna.

L’idea Red Bull potrebbe essere quella di rilevare la factory inglese della Honda, affidando a uno specialista come Mario Illien, lo sviluppo del 6 cilindri ibrido. Si è parlato anche della AvL, l’azienda di Graz che produce i migliori banchi prova della F1, ma ci sono alcune contro indicazioni.

Prima fra tutte che gli austriaci stanno curando lo sviluppo dei motori di F1 futuri per la Ferrari e già in un recente passato, la breve partnership della Honda con l’AvL è stata fonte di polemiche (sommesse) su un possibile travaso di tecnologia che avrebbe consentito ai nipponici di fare un enorme salto di qualità nel 2019.

Ma al di là delle ragioni di opportunità, ci sono validi motivi che rendono questa via autarchica molto rischiosa. Avrebbe senso percorrerla se gli attuali motori avessero vita fino al 2025 con un congelamento delle parti che dovrebbe portare a un livellamento delle prestazioni, come era accaduto nell’ultimo ciclo dei motori V8 da 2.4 litri aspirati.

In realtà, proprio per la decisione della Honda di lasciare la F1, si è aperta una profonda discussione su quale dovrà essere il ruolo dei GP nel futuro prossimo. L’abbandono dei giapponesi è stato un “tradimento”. Ma se l’improvvisa uscita dal Circus fa parte del suo DNA è inaccettabile la scusa con la quale hanno deciso di lasciare: il marchio nipponico vuole accelerare la trasformazione in carbon free entro il 2050, quando la F1 questo obiettivo lo vuole raggiunge in dieci anni e non in trenta.

Ma il messaggio tossico per la F1 della Honda è un altro: il Circus è una piattaforma mondiale mediatica, ma non serve allo sviluppo delle tecnologie per le auto del futuro. In un attimo Takahiro Hachigo ha sparigliato tutte le carte sul tavolo, facendo crollare il castello.

Stefano Domenicali, fresco CEO di Formula 1, non potrà aspettare il 2026 per lanciare la nuova formula dei motori che si sta discutendo fra i Costruttori senza aver ancora trovato una via. Aspettare la scadenza naturale delle regole sulle attuali power unit significa ritrovarsi una F1 obsoleta, incapace di intercettare nuovi investitori e, soprattutto, nuovi motoristi disposti a entrare.

E gli uomini Red Bull spingono in questa direzione, perché hanno l’ambizione di voler restare la squadra ufficiale di una Casa e non il semplice team clienti che i propulsori li deve anche pagare.

Tanto più che, per giuste esigenze di bilancio, Dietrich Mateschitz, patron Red Bull, non ha alcuna intenzione di spaiare le due squadre di sua proprietà (RBR e AlphaTauri), consapevole che Red Bull Advanced Technologies può realizzare moltissime parti comuni, garantendo ottime sinergie e risparmi nell’era del Budget cap.

E, allora, la domanda che sorge spontanea è: ha senso rilevare il progetto Honda e portarlo avanti con un investimento enorme per trarne un beneficio limitato nel tempo? La F1 spingerà per anticipare al 2024 l’introduzione dei nuovi motori ibridi (meno endotermici e più elettrici?) e, quindi, non ci sarà un periodo di utilizzo sufficientemente lungo per spalmare dei costi esorbitanti, specie se l’obiettivo sarà quello di agganciare un motorista in esclusiva.

Ricordiamo che proprio Domenicali era stato chiamato in Audi per studiare la fattibilità di un progetto in F1 e il piano prevedeva la fornitura di una power unit alla Red Bull, non escludendo un ingresso del marchio scelto dal Gruppo VW nel capitale della squadra, riducendo gradualmente l’impegno economico di Mateschitz pur mantenendo la visibilità delle sue bevande energetiche.

La Red Bull, insomma, si trova in un cul de sac: se torna da Renault o Ferrari verrà relegata al ruolo di semplice team cliente, se dovesse fare in proprio avrebbe una tecnologia esclusiva ma a fronte di costi che non valgono il gioco per un periodo limitato, perché la finalità prima è di diventare appetibile per un grande Costruttore e costruire una relazione duratura, specie ora che la F1 dovrà arrivare all’auto-sostentamento.

Certo la Honda potrebbe concedere un supporto economico e tecnici per rendere l’uscita dalla F1 meno drammatica alla Red Bull, tenuto conto che Yuki Tsunoda quasi sicuramente sarà un pilota AlphaTauri l’anno prossimo. E la Ferrari? Per il momento è rimasta in disparte: a Maranello hanno altri problemi da risolvere che trovare la soluzione alla squadra di Milton Keynes, ma se riceveranno la chiamata di aiuto analizzeranno l’offerta e le condizioni prima di dare una risposta.

In tutto questo si inserisce il “nervosismo” di Jos Verstappen, papà di Max. Il figlio è considerato da tutti un potenziale campione del mondo di F1, ma per una ragione o per l’altra non si trova mai per le mani una monoposto capace di lottare con Mercedes per il titolo. L’olandese è legato mani e piedi alla Red Bull fino al 2023, ma potrebbe cercare di cambiare aria se l’inutile attesa dovesse prolungarsi, specie se Lewis Hamilton dovesse stufarsi di correre dopo il possibile ottavo titolo mondiale nel 2022…

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