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F1 | Red Bull-Ford: vinta la sfida commerciale, ma quella tecnica?

La presentazione di New York è stata l'occasione per annunciare la partnership tra la squadra campione del mondo ed il marchio statunitense, che di fatto andrà a marchiare le power unit che realizzerà Red Bull Powertrain in vista del 2026. Un'operazione che quindi appare più di marketing che tecnica...

Potenziale livrea per la Red Bull-Ford

Potenziale livrea per la Red Bull-Ford

Camille De Bastiani

Mentre Jim Farley (CEO della Ford) commentava il ritorno in Formula 1 della casa statunitense, alle sue spalle spiccava in bella mostra la Red Bull RB18 (vestita con i colori 2023) con tanto di adesivo Honda sul cofano. Non deve stupire più di tanto, visto che ormai le porte d’ingresso in Formula 1 sono diventate parecchie.

Fa un po' sorridere oggi pensare a qualche velata polemica che seguì l’annuncio della partnership tra Sauber ed Alfa Romeo presentato nel 2017. All’epoca ci fu chi sottolineò che con Bernie Ecclestone al timone della Formula 1 quell’accordo non sarebbe stato possibile, poiché ogni casa che si vanta di essere nell’eccellenza del motorsport deve esserci davvero. Anni dopo si può solo dire che l’idea di Sergio Marchionne ha fatto scuola.

C’è sempre un motivo dietro una scelta, e oggi è più chiara anche la location di New York voluta dalla Red Bull per la presentazione della livrea 2023. Il piatto forte della giornata è stato un altro, e non sorprende neanche la tempistica, visto che l’accordo Red Bull-Ford diventerà operativo solo nel 2026. La power unit del nuovo ciclo tecnico sarà progettata e realizzata presso la Red Bull powertrain di Milton Keynes, il contributo tecnico che eventualmente darà la Ford è tutto da verificare e non escluso che possa essere prossimo allo zero.

Ciò che invece la Ford garantirà a Red Bull è il contributo finanziario, e lo farà a partire dall’immediato, un aspetto prezioso in questa fase del progetto. Realizzare da zero un motore complesso come sono le power unit di Formula 1 è un esercizio difficile ed estremamente costoso, e se nel primo caso la Red Bull ha superato il problema attingendo a piene mani dal personale Mercedes operante a Brixworth, nel secondo era necessario trovare una partnership. La scorsa estate tutto era pronto per siglare l’accordo con Porsche, ma è arrivata la brusca marcia indietro di Christian Horner quando è diventato chiaro che avrebbe rischiato di perdere il controllo della squadra che detiene da anni.

L’operazione Ford per Horner è perfetta, poiché assicura un importante ingresso di capitali senza i rischi legati ad un’acquisizione da parte del partner, operazione che avrebbe messo a rischio tutte le figure dirigenziali. Per il colosso americano non si tratta di un’operazione inedita. Già nella seconda metà degli anni ’60 garantì il supporto finanziario ad un’azienda fondata dieci anni prima da Mike Costin e Keith Duckworth (da cui il nome Cosworth) mettendo il nome sul leggendario motore tre litri destinato a lasciare un segno indelebile nella storia della Formula 1. Fino all’inizio degli anni ’80 il “Ford Cosworth” garantì una grande visibilità alla casa statunitense, confermandosi quella che oggi sarebbe chiamata una perfetta operazione di marketing.

Potenziale livrea per la Red Bull-Ford

Potenziale livrea per la Red Bull-Ford

Photo by: Camille De Bastiani

Sessant’anni dopo la Ford tornerà ad avere il suo nome su un motore di Formula 1, e non è un caso che a Detroit abbiano deciso di fare questo passo nell’ultimo anno. L’esplosione dell’interesse per la F1 negli Stati Uniti ha raggiunto livelli mai toccati in precedenza, un aspetto che sta facendo breccia in consigli di amministrazione che non si erano mai interessati alla serie. L’ingresso di Ford è un buon affare per Red Bull, ma anche per Liberty Media, che dal 2017 (anno del suo ingresso in Formula 1) ha fatto del coinvolgimento del mondo USA il suo primo obiettivo. Commercialmente la sfida è vinta.

Altra cosa è l’aspetto tecnico. L’ingresso di Ford è di fatto un’operazione finanziaria, un adesivo che anziché andare sulle pance o sulle ali della monoposto sarà applicato su un motore realizzato da altre persone in altri lidi. Poi toccherà al marketing vendere questa presenza come qualcosa che possa indurre l’idea di una sfida tecnica. Lo scorso anno l’Amministratore Delegato del gruppo Stellantis, Carlos Tavares, espresse molto chiaramente la sua idea sul modello di collaborazione Sauber–Alfa Romeo. “Dobbiamo aprire le nostre menti – chiarì il manager portoghese - i modelli di business sulla presenza in F1 sono più di uno, forse due, forse tre, forse di più. Perché dovremmo pensare che ci sia un solo modo per essere in F1? Qual è il vantaggio?”.

Fino a quando ci sono aziende che progettano e realizzano un motore di Formula 1, un’operazione di brandizzazione raggiunge due obiettivi: garantisce risorse finanziarie nelle casse di chi deve sostenere i costi tecnici, ottenendo come contropartita una grande visibilità. È però importante che venga garantita un minimo di sfida tecnica, che non venga snaturato il concetto di ‘presenza’ in Formula 1 solo ad uso e consumo dei dipartimenti di marketing.

Negli decenni di storia di questo sport si è consolidato il messaggio di presenza in Formula 1 come sfida tecnica, e le case che hanno saputo primeggiare in un contesto molto competitivo ne hanno fatto uno strumento di vanto, un prezioso biglietto da visita. Chi realmente progetta e realizza una power unit, affrontando un’impegnativa sfida tecnica, dovrebbe poter contare sempre su qualcosa in più rispetto a chi si limita ad operazioni finanziarie. Anche sul fronte del marketing.

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