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F1: quel patto al di fuori del Patto della Concordia

La Mercedes ha ottenuto la clausola di uscita dal Patto della Concordia, trovando il consenso di Renault e Honda, due marchi poco disposti a spendere budget enormi per cinque anni in un clima di incertezza dettato dal COVID-19. La Ferrari ha cercato di opporsi per difendere la stabilità della F1 e il promotore, ma si è trovata contro un sodalizio nel quale la Renault ha tratto vantaggi tecnici e commerciali prima di ritirare l'appello contro la Racing Point.

Esteban Ocon, Renault F1 Team R.S.20

Charles Coates / Motorsport Images

Il Patto della Concordia non è un accordo che unisce le dieci squadre al promotore per un periodo di cinque anni, pari alla durata del contratto. Così è sempre stato nell’era di Bernie Ecclestone, ma non lo è più ora.

Liberty Media si è dovuta inchinare alle spinte dei grandi Costruttori che si volevano garantire una clausola di uscita dalla F1: Ola Kallenius, presidente Daimler AG, ha preteso che Toto Wolff portasse a casa la possibilità di lasciare la F1 avvisando gli americani entro il 31 marzo dell’anno prima.

Una clausola subito supportata da Renault e Honda e avversata da Mattia Binotto per la Ferrari. La squadra del Cavallino, infatti, ha sostenuto che non si poteva “tradire” il promotore che stava assicurando la continuità di un campionato duramente provato dagli effetti economici causati dalla pandemia di Covid-19.

Se si firma il Patto bisogna sostenere il gioco per i cinque anni, evitando di tagliare la corda sul più bello. Per questo la Scuderia era pronta a far valere il diritto di veto, ma è stata “convinta” a non inchiodare un accordo che doveva essere chiuso assolutamente per dare stabilità a un sistema che ha problematiche di approccio molto diverse e non conciliabili.

Kallenius è stato abilissimo nell’imporre una scelta che è stata sopportata anche dagli altri grandi Costruttori come Renault e Honda.

Del resto restare in F1 con enormi investimenti se non si ottengono le vittorie della Mercedes diventa difficile da spiegare ai rispettivi Consigli di Amministrazione, specie in una fase di mercato dell’auto che è pesantemente condizionato dalle dinamiche post pandemia con numeri in rosso e una transizione verso la mobilità elettrica che è più complicata del previsto.

Non deve sorprendere, quindi, se la Mercedes ha giocato una partita politica in parallelo con l’azione di persuasione portata avanti dalla FIA che sta riscrivendo delle regole sulle monoposto copia.

Fatto sta che, dopo Williams e McLaren (prossima squadra clienti motorizzata Mercedes), anche la Renault ha ritirato l’appello contro la Racing Point. Per convincere i francesi ci sarebbe stata un’azione diplomatica della Stella su De Meo, amministratore delegato della Losanga, e in contropartita ci sarebbero stati un paio di “regali” di grande valore.

I motoristi di Viry Chatillon avrebbero capito qualcosa di più sul “party mode” e come si attua, mentre Daimler sarebbe disposta ad aiutare il Gruppo Renault comprando una fornitura di motorizzazioni diesel, proseguendo una collaborazione che è attiva da anni.

Non stupiamoci, quindi, di vedere Daniel Ricciardo in seconda fila nel GP del Belgio a 15 millesimi dalla Red Bull di Max Verstappen, con Esteban Ocon sesto sulla seconda R.S.20 e Carlos Sainz settimo con la McLaren spinta dalla power unit transalpina.

Aspettiamoci anche in gara una Renault capace di stare nel gruppo di testa come ha sottolineato l’olandese della Red Bull nelle dichiarazioni dopo le qualifiche. La sensazione è che la Ferrari, e in particolare Mattia Binotto, non goda di grandi simpatie nel Club della F1.

Sott’acqua si sta combattendo una dura battaglia che produce alcuni effetti immediati e altri si misureranno a medio-lungo termine. E sarà interessante capire chi alla fine risulterà il vero vincitore…

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