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Prost: "Senna mi avrebbe passato a Monaco '84?"

Alain chiarisce alcuni aspetti della sua carriera: doveva essere direttore sportivo Ferrari nel 1992!

Prost:
Alain Prost ha vinto il Gp di Monaco quattro volte, si è aggiudicato quattro titoli iridati. Il “professore” ha centrato 51 successi in 199 Gp ed è secondo solo a Michael Schumacher. Un grandissimo nella storia della Formula 1 che ha iniziato a imporsi nel Circus nel 1981 con il motore V6 Turbo montato sulla Renault RE30. Ora è l’ambasciatore del marchio della losanga: l’ultimo titolo, quello del 1993 con la Williams, era stato siglato proprio dal V10 di 3,5 litri. Nel Gp di Monaco Historic 2014 Alain ha avuto modo di tornare nell’abitacolo della Renault RE40 Turbo del 1984 con la quale aveva ottenuto la pole. Nella chiacchierata che è cominciata con la rievocazione della monoposto transalpina, Prost si è tolto qualche sassolino dalle scarpe, mettendo in chiaro alcuni episodi cruciali della sua carriera in Formula 1… “Prima di tutto va detto che si tratta di una monoposto che per quasi 25 anni è stata chiusa in un museo e solo recentemente è stata tirata fuori per offrire l’opportunità a qualche pilota di guidarla. Per la prima volta sono tornato a guidarla due anni fa al Castellet ed è una vettura un po’ superata. Il fatto è che l’hanno guidata diversi piloti per cui la posizione di guida non è più che quella che avevo: al Ricard non era un grosso problema, perché la pista è molto larga, ma qui a Monte Carlo, alla rievocazione del Gp storico, mi sono trovato in difficoltà con i pedali”. E che impressione hai avuto a tornare a Monaco con la Renault Turbo? ”Non nascondo che sono rimasto sorpreso nel rivivere cosa eravamo in grado di fare con quelle monoposto turbo a quel tempo. Il tempo di risposta del turbo era molto grande perché all’epoca non c’era tutta l’elettronica a supporto della meccanica che c’è oggi e bisognava adeguare il proprio stile di guida proprio al ritardo con cui arrivava la potenza in maniera brutale dopo aver schiacciato l’acceleratore. L’altro elemento da sottolineare è il cambio: c’era la tradizionale leva e si finiva il Gp con le vesciche nelle mani…”. E che sensazioni hai tratto a guidare nel Principato? ”Ho scoperto quanto sia diverso guidare una monoposto quando tutto non è perfettamente a posto. Non ti senti sicuro e, quindi, non ti azzardi a cercare il limite della monoposto, specie in frenata. La scalata non è semplice perché il pedale della frizione è molto duro e inserire la prima per il tornante del Loews implica una cambiata perfetta altrimenti quel rapporto non entra, ma si impunta”. Era proprio bravo il Prost che vinceva i Gran Premi a quell’epoca… ”E’ vero che era incredibile. Avevo fatto la pole position nel 1982 e nel 1983, segno che c’era un grande potenziale per andare più forte degli altri, solo che oggi è cambiato molto il modo di guidare”. Qual è il confronto del suono fra i motori turbo delle due epoche? ”Sì, c’è un po’ di differenza perché negli anni ’80 c’erano due scarichi: il suono era più pieno…”. Basterebbe montare due terminali anche adesso per recuperare un po’ di musicalità? ”Probabilmente sì, ma oggi il sistema è molto più complesso e diverso…”. Avresti voglia di calarti nell’abitacolo di una monoposto attuale? ”Oh sì, ho guidato la F.1 dell’anno scorso con il motore V8 aspirato. Quando ho guidato la Lotus e la Red Bull dello scorso anno ho cercato di fare un confronto con la Williams del 1993 con la quale ho vinto l’ultimo mondiale: il motore Renault V10 aveva 900 cavalli, mentre il V8 RS27 ne raggiungeva 750 più la potenza del KERS. La grande differenze era data dall’ergonomia nell’abitacolo. Ora ci si sente subito a proprio agio con tutto quello che serve che è a portata di mano: il cockpit è piuttosto confortevole. La posizione delle gambe è più alta, ma dopo un paio di giri quella sensazione scompare. Il cambio a palette è molto semplice, preciso: l’unica difficoltà che ho trovato è stata frenare con il piede sinistro, una tecnica a cui non era abituato, ma dopo qualche giro si trova un buon feeling. Non per trovare gli ultimi decimi al giro, sia chiaro, ma per guidare la monoposto con un certo impegno. Non ho potuto fare un confronto diretto con la Renault dell’83 perché era proprio un’altra cosa. È per quello che vorrei guidare le monoposto di quest’anno: non accadrà in questa stagione, ma nella prossima: e sarà certamente un piacere: sono molto curioso di capire come si utilizzano queste power unit”. Qual è la vittoria del 1983 che ricordi con più piacere? ”Il successo al Castellet. Quella vittoria mi ricorda l’affermazione qui a Monaco del 1986 con la McLaren. Qualche volta nella tua carriera ti capita di trovare la macchina che funziona alla perfezione dal primo all’ultimo giro della gara e hai la sensazione di essere un tutt’uno con la macchina. È una sensazione bellissima che si vive quattro o cinque volte in una carriera e non si può dimenticare…”. A proposito di Monte Carlo: nell’84 tutti abbiamo scritto che se il Gp sotto il diluvio fosse durato ancora un giro tu saresti stato superato da Ayrton Senna con la Toleman. Qual è stata la tua visione dei fatti? ”Quel racconto è ormai parte della storia della Formula 1. L’episodio è così scolpito, non si cambia. Lui in realtà era ancora 4 o 5 secondi più indietro e mi doveva venire a prendere, ma per farlo poteva andare sbattere due curve dopo. E se devo essere sincero, in quelle condizioni meteo veramente difficili la mia unica preoccupazione non era essere primo o secondo, quanto finire il Gp perché restare in pista era una cosa molto difficile. Fra l’altro non sapevo se la Toleman avesse i freni in acciaio o in carbonio, penso che montasse quelli in metallo, mentre io disponevo sulla McLaren di quelli in materiali compositi che sotto l’acqua non andavano in temperatura ed erano, quindi, meno efficaci. Era la prima stagione che li stavamo usando. C’è un altro episodio storico che vorrei mettere in rilievo: nel 1989 sono diventato campione dopo l’episodio di Suzuka. Tutta la gente dice che lui ha perso il campionato in Giappone, ma se anche gli aggiungevi i nove punti in più che valeva una vittoria, Lui non avrebbe vinto il titolo. A volte i fatti sono andati diversamente da come sono stati raccontati...”. A Monaco ’84 si disse che Jacky Ickx avesse sventola la bandiera rossa per aiutarti… ”Si, si era detto che Jacky mi avesse favorito perché era stato per anni un pilota Porsche e la McLaren disponeva del V6 Turbo Tag-Porsche. Il legame fra le due cose era molto flebile. La F.1 nella sua storia ha avuto diversi fatti strani, ma mai per episodi di natura sportiva. Non ci vedo Ickx che sventola la bandiera per favorire la Porsche, tanto più che la Casa tedesca era solo una fornitrice del progetto finanziato dalla Tag”. Proprio Ickx recentemente ha ammesso che c’era stata una discussione fra i responsabili della FIA e gli organizzatori dell’ACM se sventolare la bandiera a scacchi o quella rossa che avrebbe determinato la classifica al giro prima dell’esposizione… ”Era stata la prima volta di una bandiera rossa in F.1: le condizioni erano veramente terribili. Se avessimo effettuato due giri in più e avessi finito secondo, quell’anno avrei potuto vincere il mondiale. E poi avrebbe dovuto passarmi…”. Anche nell’epoca Renault avresti potuto vincere altri due mondiali: Alain ti dai delle colpe? ”Oh sì, perché nel 1982 e 83 avremmo dovuto vincere il campionato. Nel 1982 mi ero fermato per nove volte per un problema all’iniezione elettronica: si rompeva un pezzo del valore di pochi euro prodotto da un’azienda francese partner di Renault. Avrebbe avuto senso rivolgersi alla Magneti Marelli, ma per ragioni politiche non si è mai fatto. Peccato perché avremmo certamente vinto il titolo. In cinque gare delle nove in cui ci siamo fermati io h commesso un errore mentre ero al comando del Gran Premio…”. Si sono conteggiati tuoi errori che, invece, dipendevano da problemi tecnici… ”Sì, oggi lo posso dire. È andata proprio così. E nell’83 abbiamo avuto anche l’aggravante della benzina della BMW che non era regolamentare: per i piloti Brabham era facile fare i sorpassi con 100 cavalli in più. I fatto erano chiari a tutti, ma la Renault non aveva voluto presentare un reclamo ufficiale. Non è stato giusto…”. Avresti potuto vincere sei titoli mondiali… ”E’ vero, ma non si possono misurare i fatti così…”. La F.1 ha fatto una rivoluzione nel 2014: la condividi? ”Questa F.1 ha fatto un cambiamento giusto che andava fatto. La difficoltà è far capire la portata di questo cambiamento. Durante l’inverno ho sempre detto che c’erano due sfide da vincere nel 2014: tecnico e informativa. Nei test di gennaio c’era chi pensava che nessuna macchina avrebbe finito il primo Gp in Australia perché si girava pochissimo, mentre l’affidabilità è stata raggiunta molto in fretta con un lavoro davvero impressionante, raggiungendo subito i valori simili a quelli dell’anno scorso. La seconda sfida è comunicativa: bisogna far arrivare agli appassionati le giuste informazioni per far capire lori come sono fatte le macchine, perché si sono fatti i cambiamenti e qual è il legame con la produzione di serie delle auto. Le corse servono a sviluppare soluzioni per le vetture di serie accelerandone sensibilmente i tempi. Se non si spiegano tutte queste cose, non si capisce la portata del cambiamento. La questione del rumore, quindi, è solo una scusa. È vero che c’è una percezione della velocità minore con un suono meno pieno, ma non è quello il problema: dobbiamo comunicare con i tifosi…”. La Renault dopo l’avvio di stagione disastroso potrà battere le Mercedes che sembrano invincibili? ”Si, ma non dipende solo dal motore. Le attuali monoposto sono incredibili per quanto riguarda l’integrazione fra il telaio e la power unit. Credo che la Red Bull Racing abbia il potenziale per vincere durante la stagione, ma credo che ci voglia ancora un po’ di tempo. A Barcellona abbiamo visto che c’era un avvicinamento fra i motori, ma la Mercedes in Spagna ha fatto un grosso salto nella parte telaistica e nell’aerodinamica…”. Condivi quello che ci ha detto il motorista Renault, Axel Plasse, che ora il problema è più di Adrian Newey che dei francesi? ”Si, è così. Ma non c’è solo telaio e aerodinamica. La Mercedes ha fatto un grande sviluppo anche sulle benzine con Petronas. Faccio un altro esempio: fra il 1990 e il 1991, ai tempi della Ferrari, c’era una differenza di trenta cavalli dovuti solo alla benzina…”. Stai parlando della Ferrari che per te era un… camion? ”Parliamo trenta secondi di questa storia, mi piace l’idea di chiarirla. Avevo definito la Ferrari in quel modo per un problema alla colonna dello sterzo che era storta perché nelle prime fasi della corsa mi ero toccato con un avversario. Quella gara era stata una delle gare più belle che avevo disputato: avevo concluso quarto, mentre Alesi era sesto o settimo. Avevo concluso il Gp con i dolori alle spalle per lo sforzo fisico di controllare la macchina e avevo provato a spiegare ai giornalisti cosa mi era successo, ma sono stato frainteso. Di quell’intervista non c’è traccia da nessuna parte. Sono spariti i filmati…”. Beh, la Ferrari cercava un pretesto per rompere i contratto… ”Certo, l’ho ben capito. Sapevo cosa stava succedendo. È curioso il fatto che all’arbitrato che si era svolto a Ginevra dopo la rottura, al quale era presente Luca di Montezemolo e gli avvocati delle parti non era stata portata alcuna prova che acclarasse la mia dichiarazione lesiva: io semplicemente volevo dire che era stata dura guidare una Ferrari che sembrava un camion con il problema allo sterzo. La questione era diventata politica…”. Alain, tu saresti rimasto alla Ferrari l’anno dopo? ”Ti racconto un retroscena: la settimana dopo avrei dovuto firmare un contratto da pilota e da… direttore sportivo! E quando l’avvocato Henry Peter, il legale della Ferrari, mi ha chiamato da Queensland, dove era in vacanza fra i due Gp, mi aveva detto: Alain non posso più parlare con te, è cambiato qualcosa all’improvviso. Mi spiace…”. Eri fuori da Maranello… ”Sono successi fatti che non dipendevano dalla F.1, ma questa è la storia…”.

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