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Vettel e il diritto di stare fra i Grandi della F.1

Il tedesco vince il quarto titolo con la Red Bull Racing, ma ci ha messo del suo in questo poker

Se oltre alla SuperLicenza per guidare una monoposto in Formula 1 venisse riconosciuta una sorta di card platino di “Campione” ai piloti che hanno vinto il titolo mondiale piloti, non è detto che Sebastian Vettel se la vedrebbe consegnare con un pubblico plebiscito. Anzi, c’è da pensare il contrario. Sono in molti a tessere le lodi del tedesco per il quarto titolo conquistato in India, ma non sono (ancora) disposti a inserire il 26enne di Heppenheim nel pantheon dei Gran Premi. Per esempio, Umberto Zapelloni scrive sulla rosea che Vettel “…ha tutti i requisiti per sedersi al tavolo dei grandi, anche se non ancora a capotavola. Non è (per ora) uno Schumacher e un Senna, non un Fangio o un Prost, probabilmente neppure uno Stewart o un Lauda, un Clark o un Alonso che hanno vinto meno di lui”. UN CAMPIONE, NON UN FUORICLASSE? Questa è il sentire della gente che l’autorevolissimo vice-direttore della Gazzetta dello Sport mette in risalto, ma questa è una sindrome che, paradossalmente, colpisce lo stesso Sebastian. Un pilota che dice di non inseguire i record ma che si acciglia se nel “week end perfetto” di Buddh, il disperato Kimi Raikkonen, costretto in pit lane al penultimo giro, gli soffia il giro più veloce in gara nell’ultima tornata, solo dopo aver montato gomme soft e con il serbatoio ormai vuoto. Stava firmando il poker iridato con uno storico successo conquistato partendo dalla pole position e una rimonta dalla 17esima posizione dopo il prematuro cambio gomme al 2. giro che lo aveva fatto precipitare nel “traffico” del gruppo. Con una Red Bull Racing RB9 superiore non può solo vincere, deve stravincere. SCIPPATO DA KIMI SOLO IL GIRO PIU’ VELOCE Mentre il muretto dei “bibitari” era in apprensione per l’affidabilità della sua “Hungry Heidi” (Seb dà un nome di donna a tutte le monoposto), Vettel ha cercato scientemente il giro più veloce, nonostante l’ingegnere di pista, Guillaume Rocquelin, gli intimasse via radio di non usare il KERS per evitare che anche l’alternatore della sua RB9 si cuocesse dopo che lo stesso particolare marchiato MES aveva costretto alla resa Mark Webber (a proposito, ma allora anche i ritiri dello scorso anno non erano colpa della Magneti Marelli, ma di un impianto estremo nel quale Adrian Newey non vuole che si aprano le indispensabili prese d’aria di raffreddamento…). ANCHE I FESTEGGIAMENTI DEVONO ESSERE STRAORDINARI E una volta tagliato il traguardo il tedesco si è divertito in spettacolari tondi, fottendosene della meccanica della Red Bull Racing per sprigionare tutta la sua gioia e per “accattivarsi” un pubblico che ancora non crede in lui. Sebastian non può essere “normale”, deve essere straordinario anche nei festeggiamenti. Al punto che gli inflessibili commissari sportivi della FIA lo hanno sanzionato con 25 mila euro di multa e una reprimenda. Allora Alex Zanardi in Indycar ci avrebbe lasciato mezzo stipendio per i donuts con cui il bolognese deliziava gli americani dopo i suoi successi con il team Ganassi. Questo è il limite della Formula 1 bacchettona che vuole governare tutto con la sua discrezionalità. L’ORDINE DI SQUADRA DISATTESO Vettel corre per vincere, per ottenere sempre il massimo. In qualifica come in gara. Ha sbriciolato quello che restava di un’amicizia con Mark Webber in Malesia non rispettando gli ordini di scuderia: da prima-guida Red Bull Racing non voleva sentire ragioni di essere relegato, per una volta, al ruolo di spalla del compagno di squadra. A Sepang ha smesso i panni del ragazzino per indossare quelli dell’uomo duro (e non puro). Ha imposto la sua supremazia anche al muretto. Ha sfidato i vertici del team, sapendo che non ne avrebbe pagato alcun fio. Un atteggiamento poco condivisibile, di chi vuole che le gerarchie non possano essere messe in discussione. Un vero leader, anche se non sembrerebbe con quella faccia da ragazzino tutto acqua e sapone. I FISCHI CHE NON UMILIANO MA CARICANO I fischi di Monza che poi si sono riverberati anche sotto altri podi lo hanno ferito: ma chi semina vento, raccoglie tempesta. Chi sperava di minare la determinazione del tedesco, umiliando il suo amor proprio, lo ha caricato ancora di più. È diventato una macchina da guerra, parte integrante di un team che interpreta la Formula 1 sempre al limite delle regole e sa sfornare ogni anno una monoposto imprendibile per gli avversari, con una miriade di soluzioni tecniche che hanno scatenato roventi polemiche, ma suscitando anche l’ammirazione dei tecnici per la genialità di alcune scelte. SENZA COMPROMESSI La Red Bull Racing e Sebastian Vettel non sono per i compromessi, ma per le scelte radicali: come tentare la qualifica indiana con le Soft, per dimostrare a tutti che non c’era tattica che tenesse, perché alla fine avrebbe vinto il tedesco. Un campione. Un fuoriclasse. Ambito dalla Ferrari. A Maranello aspettano che arrivi il loro momento, ma se potessero lo avrebbero già preso, con o senza Fernando Alonso. Prima o poi arriverà al Cavallino, perché nel mirino c’è l’idolo Michael Schumacher e i suoi sette titoli iridati. E i fenomeni sanno fiutare quando è il tempo di cambiare aria perché sta per finire un “ciclo”. Per ora è rimasto a Milton Keynes per cui c’è da credere che il giovane di Heppenheim non consideri ancora esaurita l’avventura Red Bull-Renault, nonostante la rivoluzione regolamentare che nel 2014 porterà il turbo e i sistemi ibridi. SI PUO’ SUPERARE IL LIMITE DELLA SICUREZZA? La Formula 1 ama la ricerca del limite e nel Circus c’è chi vuole alzare sempre l’asticella. A molti è sfuggito che la Pirelli aveva “consigliato” alle squadre di non andare oltre la soglia di sicurezza nell’uso degli pneumatici in India, dopo gli evidenti problemi di blistering emersi nelle prove libere. Paul Hembery aveva parlato di 15 giri per soft e 35 giri per medie. Quasi tutti i team hanno studiato le loro strategie di gara tenendo in considerazione anche l’indicazione della Casa milanese. Non la Lotus che ha completamente disatteso le raccomandazioni: Romain Grosjean ha coperto 13 giri con le morbide e poi ha completato la corsa con un solo stint sulle medie. Il francese ha guidato la E21 per 47 tornate con lo stesso treno. Va riconosciuta al transalpino la capacità di saper gestire l’usura degli pneumatici pur mantenendo un passo di gara molto competitivo (è scattato 17esimo e ha concluso sul podio), ma il team di Enstone se n’è fregato delle direttive Pirelli. MARQUEZ E’ STATO PUNITO, LA LOTUS HA ESAGERATO? Marc Marquez con la Honda HRC si è visto sventolare una bandiera nera dalla direzione gara della MotoGp a Phillip Island perché aveva percorso un giro in più di quella che era la distanza di sicurezza concessa dalla Bridgestone e si è “mangiato” una fetta del vantaggio di punti che aveva su Jorge Lorenzo. Un errore imperdonabile, perché la norma era stata aggiunta nel regolamento particolare di gara. Dura, ma giusta la sanzione. In F.1 Romain Grosjean ha disatteso di 12 giri il “consiglio” Pirelli (non c’è regola scritta). Il variare delle condizioni e la maggiore gommatura della pista ha permesso al transalpino di coprire la distanza senza seri problemi. I tecnici diretti da Alan Permane hanno preso un grosso rischio e sono stati premiati, ma se un pneumatico della E21 fosse improvvisamente esploso per i buchi sul battistrada, cosa si sarebbe detto? Ha senso spingere la ricerca del rischio oltre i vincoli della sicurezza? ALZARE SEMPRE L’ASTICELLA Non è la prima volta che si estremizzano delle scelte nel Circus: proprio quest’anno era nata la polemica per il fatto che qualcuno girava le gomme fra la qualifica e la gara per avere sempre una “spalla” fresca. Peccato che le coperture da competizione vengano prodotte con un senso di marcia e vanno montate rispettando le specifiche del Costruttore. Questa pratica, infatti, poi è stata vietata per regolamento, ma ha senso giocare su aspetto di sicurezza sapendo che tutt’al più si può scaricare tutta la responsabilità sul fornitore unico?

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