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Ferrari a secco di vittorie: quante analogie col 1993

Marco Mattiacci si trova in una situazione sinile a quella di Jean Todt di ventuno anni fa

La Mercedes tritura il mondiale 2014. Le frecce d’argento volano a Hockehneim celebrando il ritorno alla vittoria nel Gp di Germania sessanta anni dopo il successo di Juan Manuel Fangio con la W196. E non c’è stato FRIC che tenesse: l’abolizione delle sospensioni interconnesse decisa a sorpresa dalla FIA, forse per mettere in difficoltà proprio i tedeschi, si è ritorta contro chi probabilmente quella decisione l’ha ispirata…

LA MERCEDES CERCA IL COLORE DELLE SILVER ARROWS
La Stella a tre punte sta studiando una nuova vernice per restituire lo stesso colore delle silver arrow originali alle invincibili W05 Hybrid: la carrozzeria non è più in alluminio, ma in carbonio e l’esercizio sta diventando piuttosto complicato, anche se potrebbe essere un’azienda italiana a riuscire nell’impresa: si tratta della Nanoprom di Sassuolo di Gian Luca Falleti. Segno che in Italia c’è ancora chi riesce a fare le cose per bene, tanto da essere apprezzato dai tedeschi.

UNA STAGIONE SENZA VITTORIE COME 21 ANNI FA?
A pochi chilometri dalla sede di chi si occupa di nanotecnologie (la Nanoprom produce anche il Polysil, la banda nera all’interno dei cerchi, utile a mandare prima in temperatura le gomme) c’è la Sacta Sanctorum del Cavallino rampante. La Ferrari, invece, sta sprofondando, avvitandosi su se stessa, inconsapevole di quanto le sta accadendo. C’è il rischio concreto che una Rossa non vinca un Gp in stagione: bisogna tornare a 21 anni fa per rivivere uno scenario così disastroso. Era il 1993: l’anno della chiamata di Jean Todt a Maranello per risollevare il Reparto Corse che aveva Gerhard Berger e Jean Alesi, i due piloti che guidavano la deludente F93 A. La Ferrari concluse quarta nella classifica del mondiale Costruttori (dietro Williams, McLaren e Benetton). La fotografia, per quanto sbiadita, mostra somiglianze impressionanti con oggi. Con un’aggravante: la F93A era riuscita a conquistare due podi (Alesi a Monaco e Berger in Ungheria), mentre la F14 T si aggrappa al terzo posto di Fernando Alonso in Cina. Troppo poco per una macchina che era partita per vincere il mondiale!

MONTEZEMOLO STA RIVIVENDO UN INCUBO
Quante analogie con quel momento così difficile della Ferrari: il presidente Luca di Montezemolo sta rivivendo un incubo. Quella era una squadra da rifondare e l’arrivo di Jean Todt era stato il primo pilastro di una ricostruzione profonda che aveva portato Rory Byrne e Ross Brawn alla conduzione tecnica e poi Michael Schumacher come top driver. Il dream team che ha dovuto aspettare il 1999 per rivincere il primo titolo Costruttori e il 2000 per regalare a Schumi il terzo alloro iridato. Montezemolo sa perfettamente che, dopo la caduta, la risalita è lenta, molto lenta. E, invece, il presidente ha fretta: la Formula 1 sta diventando il “buco nero” di una Ferrari che produce macchine da sogno e profitti in crescita. Il brand si rafforza anche senza i successi nei Gp. L’azienda è sana, ma non sa più vincere (se non nel GT con la 458). Ha perso quell’orgoglio che fa di un team una squadra vincente.

MARCO MATTIACCI COME JEAN TODT NEL 1993?
Marco Mattiacci, manager che ha contribuito alla crescita del marchio del Cavallino rampante, si è trovato paracadutato in un mondo non suo, che non conosce e che sta scoprendo un po’ alla volta. Nel 1993 Claudio Lombardi fece posto a Jean Todt. A distanza di 21 anni Stefano Domenicali si è fatto da parte per aprire la porta a Marco Mattiacci. Finora, almeno all’esterno, non si è avuta la sensazione del cambiamento. Anzi trasuda l’impossibilità di dare una sterzata ad un anno orribile, nonostante la squadra possa contare su due piloti campioni del mondo, Fernando Alonso e Kimi Raikkonen. Un lusso che non si può permettere nessun altro. Un’aggravante ad un quadro già desolante. Perché se lo spagnolo riesce a “inventare” momenti emozionanti (si arrampica con la F14 T fino alla soglia del podio, lottando ad armi pari con Sebastian Vettel, ma poi finisce sempre indietro - che non gli venga il complesso del quattro volte campione del mondo che lo svernicia sempre! - anche per scelte strategiche sbagliate, il finlandese sembra l’ombra di se stesso, ripiegato su una situazione che sembra senza via d’uscita. Senza motivazioni, senza prospettive.

PERCHE’ LA F14 T FUNZIONA SOLO A TRATTI?
Il valore della Rossa è quello che ci mostra Kimi? Ma perché ci sono dei momenti in cui la F14 T è la più veloce in pista? Sono istantanee che durano pochi frammenti di un Gp, ma che mostrano che forse esiste un potenziale. La Rossa non funziona con il pieno di carburante e a secco nel giro da qualifica (l’ultima pole risale al Gp di Germania del 2012, tanto per rinfrescare la memoria…). Non gradisce le gomme Super Soft perché se le mangia prima di altre vetture, ma poi ha lampi che, puntualmente, fanno illudere Marc Gené, tester prestato al commento tv di Sky, che possa arrivare un risultato dignitoso.

60 ANNI FA FERRARI BATTUTA, MA A PODIO
Alla fine a Hockenheim ci si deve accontentare di un quinto posto. Sessanta anni fa, invece, dietro alla freccia d’argento di Juan Manuel Fangio che vinse al Ring il Gp di Germania c’erano due 625: quella che Froilan Gonzalez aveva condiviso con Mike Parkes e quella di Maurice Trintignant terzo. I ferraristi erano stati battuti, ma non "umiliati". Le parole di Marco Mattiacci, dopo la disfatta tedesca sono il segno della resa incondizionata: un cazzotto nello stomaco dei tifosi del Cavallino da chi si sta abituando a leggere dei piazzamenti deludenti in positivo…

MARCO, DOVE STA IL PUNTO DEBOLE?
"Quella di oggi è stata una gara molto combattuta sia per i piloti che per la squadra, che conferma il grande impegno profuso da tutti in un fine settimana che non ha lasciato un attimo di respiro e in cui abbiamo tirato fuori il massimo. Fernando si è reso autore di un’altra prestazione fantastica, mentre abbiamo visto segnali incoraggianti da parte di Kimi, che purtroppo non si sono tradotti in risultati concreti. Conosciamo i punti deboli della nostra vettura, e ad ogni gara cerchiamo dei miglioramenti che possano essere utili anche per il nuovo progetto che inizia a prendere forma. Ora tutta l’attenzione si sposta sulla prossima tappa in Ungheria. Sarà un’altra gara molto impegnativa ma allo stesso tempo una nuova opportunità per crescere".

LA F14 T E’ FIGLIA DI NESSUNO
Crescere? Si portano in pista modifiche lifting sulla F14 T che non incidono sulle prestazioni. Questa macchina è stata ripudiata troppo presto, perché non è figlia di nessuno. Deliberata dal direttore tecnico di allora, Pat Fry che l’ha “sbolognata” a James Allison. L’inglese non la considera sua e si concentra sulla 666, l’arma demoniaca del riscatto 2015. La F14 T ha una sola paternità: quella del motore 059/3 firmato da Luca Marmorini. Un disastro a sentire proprio gli uomini del Cavallino. E, infatti, il tecnico aretino sembra l’unico a pagare. Non rientrerà dalle ferie. Gli è stato dato il benservito non appena ha deliberato al banco lo 059/4. Un errore clamoroso! Ha corretto gli errori di progetto giocando i jolly che il regolamento FIA concede. Errori che sono stati indotti da Pat Fry e Nicholas Tombazis che hanno voluto una monoposto votata alla massima efficienza.

MARMORINI, UN ADDIO PIU’ LUNGO DEL PREVISTO
Con una power unit sacrificata da scelte di progetto a favore di un’aerodinamica che doveva essere vincente. Marmorini, insomma, lascia ad altri lo sviluppo di un motore che è ancora figlio suo: ma allora non aveva senso tenerlo fino alla delibera della nuova macchina perché seguisse la fase di sviluppo prima di salutare la compagnia? La sensazione è che servisse un capro espiatorio. E lo si è trovato in un tecnico capace che se ha un difetto è di avere un carattere troppo buono, sempre incline al compromesso. Tocca a Mattia Binotto mettere un argine ad aerodinamici e telaisti. E l’eredità del progetto passa sulle spalle di Lorenzo Sassi.

SI PAGA LA MEDIOCRITA’ DI SISTEMA?
La F14 T è mediocre come motore, come telaio e come aerodinamica. Non eccelle in niente. E qui sta il problema, perché si è inciso nella carne viva del reparto motori (attenzione ci saranno anche delle partenze non preventivate…), salvaguardando i telaisti che sono il nucleo forte dell’Ufficio Tecnico. E sono quelli che non hanno cambiato la macchina, sempre uguale a se stessa, inchiodata forse dalle iniziali scelte (sbagliate).

ALLISON SCELGA BENE I SUOI COLLABORATORI
James Allison è il braccio destro di Marco Mattiacci. Il suo tecnico di fiducia. L’inglese è capace, ma ci auguriamo che sappia scegliere i collaboratori di cui fidarsi. Perché è strano che si affidi proprio agli stessi che hanno fallito con la F14 T. A Maranello ci sono professionalità altissime tenute in naftalina. Ci vuole nuovo entusiasmo, motivazione. Si scorge, invece, la rassegnazione. La Ferrari non può essere ciò che esprime oggi in pista. Ma dagli aerodinamici non si è vista un’idea, un concetto. E poi si parla sempre di gomme che non si sfruttano a dovere: era stato preso il “guru” della Bridgestone, Hirohide Hamashima, nella speranza che sapesse riprodurre il modello delle gomme Pirelli. Una delusione. Grande. Non è prendendo i nomi altosonanti che si costruisce una squadra vincente.

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