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Chiesa: “A 25 anni dalla Formula 1, sogno ancora Le Mans!”

Nel fine settimana del primo marzo 1992 esordiva a Kyalami, sulla Fondmetal-Ford, l’ultimo pilota svizzero di lingua italiana nella storia del Circus: Andrea si racconta a Motorsport.com in una lunga intervista.

Andrea Chiesa

Andrea Chiesa

Riccardo Vassalli / Motorsport.com

Andrea Chiesa
Andrea Chiesa
Andrea Chiesa
Andrea Chiesa
Andrea Chiesa, Fondmetal GR02 Ford
Andrea Chiesa, Fondmetal GR01 Ford
Andrea Chiesa
Discesa verso Pouhon: #94 Speedy Racing Team Spyker C8 Spyder GT2R: Andrea Belicchi, Andrea Chiesa,
Les Combes: #94 Speedy Racing Team Spyker C8 Spyder GT2R: Andrea Belicchi, Andrea Chiesa, Jonny Kane
Stavelot: #94 Speedy Racing Team Spyker C8 Spyder GT2R: Andrea Belicchi, Andrea Chiesa, Jonny Kane
Andrea Chiesa, Alex Caffi e Andrea Belicchi
Andrea Chiesa ritiorna in pit-lane dopo l'incendio sulla #94 Speedy Racing Team Spyker C8 Laviolette
#85 Spyker Squadron Spyker C8 Spyder: Andrea Belicchi, Alex Caffi, Andrea Chiesa
#85 Spyker Squadron Spyker C8 Spyder: Andrea Belicchi, Alex Caffi, Andrea Chiesa
Pit stop per la #94 Speedy Racing Team Spyker C8 Laviolette GT2R: Benjamin Leuenberger, Andrea Chies
Pit stop per la #94 Speedy Racing Team Spyker C8 Laviolette GT2R: Benjamin Leuenberger, Andrea Chies
#94 Speedy Racing Team Spyker C8 Spyder GT2R: Andrea Belicchi, Andrea Chiesa, Jonny Kane
#94 Speedy Racing Team Spyker C8 Laviolette GT2R: Philippe Camandona, Andrea Chiesa, Benjamin Leuenb
#94 Speedy Racing Team Spyker C8 Laviolette GT2R: Philippe Camandona, Andrea Chiesa, Benjamin Leuenb
#94 Speedy Racing Team Spyker C8 Spyder GT2R: Andrea Belicchi, Andrea Chiesa, Jonny Kane
#94 Speedy Racing Team Spyker C8 Laviolette GT2R: Benjamin Leuenberger, Andrea Chiesa
#85 Spyker Squadron Spyker C8 Spyder: Andrea Belicchi, Alex Caffi, Andrea Chiesa
#85 Spyker Squadron Spyker C8 Spyder: Andrea Belicchi, Alex Caffi, Andrea Chiesa
#85 Spyker Squadron Spyker C8 Spyder: Andrea Belicchi, Alex Caffi, Andrea Chiesa
Andrea Chiesa
#57 Seikel Motorsport Porsche GT3 RS: Alex Caffi, Fabio Rosa, Gabrio Rosa, Andrea Chiesa
Andrea Chiesa
Incendio sulla #94 Speedy Racing Team Spyker C8 Laviolette GT2R: Philippe Camandona, Andrea Chiesa,
Incendio sulla #94 Speedy Racing Team Spyker C8 Laviolette GT2R: Philippe Camandona, Andrea Chiesa, Benjamin Leuenberger
Incendio sulla #94 Speedy Racing Team Spyker C8 Laviolette GT2R: Philippe Camandona, Andrea Chiesa,
#94 Speedy Racing Team Spyker C8 Laviolette GT2R: Andrea Chiesa, Benjamin Leuenberger
Una tigre in gabbia: #94 Speedy Racing Team Spyker C8 Laviolette GT2R: Benjamin Leuenberger, Andrea
Peter Dumbreck, Alexei Vasiliev, Andrea Chiesa, Benjamin Leuenberger, Alexander Iradj e Ralf Kellene
Alexander Iradj, Benjamin Leuenberger e  Andrea Chiesa
#85 Spyker Squadron Spyker C8 Spyder: Andrea Belicchi, Alex Caffi, Andrea Chiesa
#57 Seikel Motorsport Porsche GT3 RS: Alex Caffi, Fabio Rosa, Gabrio Rosa, Andrea Chiesa, leads #34
Andrea Chiesa davanti a Phil Andrews

Andrea Chiesa festeggia il primo marzo 2017 i venticinque anni esatti trascorsi dall'esordio in Formula 1. Non sono stati molti i piloti svizzeri, per di più di lingua italiana in quanto ticinesi, entrati nell’Olimpo dei Gran Premi. Il GP del Sud Africa del 1992 resta dunque nella storia del motorsport elvetico e anche di quello milanese, visto che l’attuale commentatore tecnico della Radiotelevisione della Svizzera Italiana, accanto a Roberto Gurian e in alternanza con Alex Fontana, nacque il 6 maggio 1964 nel capoluogo meneghino, salvo poi lasciare l’Italia in tenera età.

Nell'intervista concessa a Motorsport.com, Andrea Chiesa non nasconde un briciolo di rammarico per come un quarto di secolo fa terminò l'avventura nel Circus con la Fondmetal-Ford (a partire da Budapest gli subentrò il belga Eric Van de Poele), ma esso fu la punta di diamante di una carriera spalmata su molteplici categorie e che fu preceduta da quattro positive campagne nel Campionato Internazionale di Formula 3000, fra il 1998 e il 1991, con CoBRa Motorsports, Roni Motorsport, Paul Stewart Racing e Apomatox. Un viaggio nel tempo tra la serie regina, l'emozione dell’incontro con Ayrton Senna e gli attuali brividi della 24 Ore di Le Mans...

Esattamente 25 anni fa, ti apprestavi a fare l'esordio nella categoria regina dell’automobilismo. Ad aprire oggi il bagaglio dei ricordi, che memoria hai di quel giorno particolare?
“Non sono uno che bada tanto al trascorrere del tempo, per cui mi viene naturale vivere nel presente senza appoggiarmi al passato. Di Kyalami, però, ricordo bene l'impreparazione: una sorta di improvvisazione, se vogliamo. Bisogna tenere a mente che, ai miei tempi, la Formula 1 non godeva dell'organizzazione che c’è al giorno d'oggi. Le scuderie piccole come la Fondmetal gareggiavano contro il tempo: gli ultimi pezzi venivano assemblati in pista, non vi era la possibilità di testare la macchina. In Sud Africa non mi qualificai per un problema al diffusore posteriore, però penso che sarei riuscito a entrare in griglia se non avessi avuto subìto dei problemi”.

Messo al volante senza nemmeno aver provato la macchina?
“Esatto, mi viene da sorridere se penso che i giovani di oggi prima di fare anche solo dei test in Formula 1 passano ore e ore ad esercitarsi con il simulatore. Io debuttai nelle prove libere del Gran Premio del Sud Africa senza aver mai toccato la macchina prima. Oltre all'incertezza, ricordo comunque con piacere questa emozionante esperienza".

Che reminiscenze suscita in te quella Fondmetal GR01?
“Non nascondo di aver avuto qualche problema con la macchina. C'è un motivo particolare per cui il mio debutto, ma anche la stessa esperienza in Formula 1, portano delle macchie. Dovevo guidare una macchina che era troppo piccola per me. E questo era un grandissimo problema, dal punto di vista del mio fisico. Era stata progettata per Olivier Grouillard (pilota della stagione 1991, ndr) che è 15 centimetri più basso di me. Oltretutto, in quella stagione, fu introdotta la regola per la quale la pedaliera non poteva superare l'asse delle ruote anteriori. In questo modo, io non potevo nemmeno avvalermi della possibilità di spostare la pedaliera per guadagnare quei centimetri che sarebbero stati vitali per me”. 

Costretto a guidare in condizioni assurde, che alzavano il rischio di uno sport considerato già di per sé estremo. Giusto?
“Guidavo in condizioni davvero incredibili, ma credo che le foto in circolazione dimostrino come il mio corpo si trovasse più fuori che dentro la monoposto. Il mio problema è che ho sempre avuto le braccia e le gambe molto lunghe rispetto al busto, ragione per cui non riuscivo ad agire come si sarebbe dovuto fare sui tre pedali. In questo modo, non riuscivo ad avere né la giusta coordinazione sui pedali, né la giusta forza in frenata. Insomma, ho accettato quest’occasione, pur se consapevole del rischio, perché era impossibile dire di no".

Con il passare delle gare, ti è poi stata consegnata una vettura adatta alle tue caratteristiche?
“Inizialmente, il compianto Gabriele Rumi (fondatore della Fondmetal ndr), mi diede tre Gran Premi di tempo prima di concedermi una macchina più consona alle mie caratteristiche (la GR02, ndr). Da tre, poi, passarono a sette le corse di Formula 1, prima di avere una macchina 'mia'. Diciamo che la stagione è stata un calvario incredibile, in cui ero anche sottoposto a un pericolo fuori del comune...".

Al di là delle problematiche “personali”, ricordi ancora pregi e difetti della tua Fondmetal?
“Sì, me la ricordo bene: la Fondmental vantava una buona aerodinamica, soprattutto nelle curve veloci. Ricordo infatti che, sia io sia Gabriele Tarquini, nelle qualifiche piazzavamo la macchina tra le prime sei. Il problema stava nella parte meccanica della monoposto: aveva pochissima trazione e per questo perdevamo parecchio in gara".

La Fondmetal aveva una buona base, avendo ereditato le strutture dell'ex Osella. Che cosa non funzionò in quel progetto?
“All'epoca, l'organizzazione di una scuderia era molto diversa rispetto alla realtà di oggi. Noi non eravamo così messi male come come altri, ma quando porti avanti un progetto con soltanto una ventina di persone e, in seguito, incontri qualche ostacolo di troppo, allora la strada diventa lunga e tortuosa. È stata una Formula 1, quella dei miei tempi, molto più 'artigianale'. Nel senso che è capitato più volte che la macchina la sistemavi definitivamente soltanto pochi minuti prima della partenza".

Hai condiviso il box con Gabriele Tarquini. Che osa conservi del rapporto con il longevo pilota abruzzese?
“Ho avuto, e mantenuto tuttora, un rapporto ottimo con Taquini. È ancora attivo e non ne vuole proprio sapere di mollare le corse (ridendo, ndr). 'Gabri' è un bravissimo pilota, oltre a essere una persona sincera e aperta. Dice quello che pensa in faccia senza nessun tipo di problema. Credo che non avrei potuto avere un compagno migliore di lui...".

Ayrton Senna, Alain Prost, Nigel Mansell e Michael Schumacher. Hai gareggiato in un'epoca di “mostri”, forse irripetibile. Ti senti di spendere qualche parola in particolare per qualcuno di loro?
“Devo ammettere che, al momento, non ti rendevi nemmeno conto contro chi avevi a che fare. Ero talmente preso dai miei problemi, perché poi ognuno deve pensare a finire la propria gara, che ero perso in un ‘cosmo’ tutto mio. Anche se, devo dire, la prima volta che ho stretto la mano ad Ayrton Senna mi sono emozionato... Ora, con il senno di poi, mi rendo conto che è stato un privilegio poter gareggiare con queste icone della Formula 1 e questo mi emoziona ancora adesso a pensarlo".

Dissipiamo ogni dubbio. Nato a Milano, ma di nazionalità svizzera. Quale inno si sente addosso Andrea Chiesa?
“Mia mamma è di Como, mio padre di Basilea, per cui io sono un po' un mix. All'età di dieci anni mi sono trasferito da Milano a Lugano. In Ticino è scoppiata la mia passione per i motori. Ho sempre trovato affascinante la meccanica, passione che porto avanti ancora adesso. Personalmente, credo che l’amore per la tecnica e la passione per gli sport automobilistici vadano di pari passo. Ritengo anche che sia una forma di rispetto per le persone che si sacrificano per fornirti una macchina competitiva”. 

 

Terminata l'esperienza nella massima formula, fu tempo di dedicarsi alle categoria GT. Hai riscontrato difficoltà rispetto alle monoposto?
“L'inizio non è stato dei migliori. Covavo una rabbia pazzesca dentro di me per come era terminata l'esperienza in Formula 1. In America è stata proprio una ‘scappata’ quella nella categoria CART (a Surfers’ Paradise nel 1993 con la Euromotorsport, ndr). C'è stato il lutto di mio padre e ho dovuto correre ai ripari, fermandomi e uscendo un po' dal mondo delle corse. Dopodiché sono ritornato alle competizioni grazie alla fiducia di Loris Kessel (la coppa risultò campione N-GT in Italia per due stagioni di fila, il 2004 e 2005, ndr). Nel Gran Turismo mi sono ricostruito una seconda carriera e mi sono divertito molto. Inizialmente fai abbastanza fatica ad adattarti alla struttura della macchina: vuoi per la visibilità, vuoi per lo sterzo e tutto il resto. Però, sinceramente, mi piacciono le competizioni 'fisiche'. Quelle dove la preparazione mentale e la forma fisica vengono ancora prima del talento nel guidare".

Come si arriva preparati a una competizione come la 24 Ore di Le Mans? Prediligi la maratona francese o un altro tipo di gare sulla lunga distanza?
“A una competizione impegnativa come la 24 Ore si arriva necessariamente preparati mentalmente, ma soprattutto fisicamente. Prediligo Le Mans perché è una gara che avrà sempre un suo fascino (gareggiò nel 2007 e nel 2008 con due diverse versioni della Spyker C8 nei colori prima della Casa ufficiale e poi dello Speedy Racing Team, antesignano dell’attuale Rebellion Racing, ndr). Sembra che ti faccia fare un salto nel passato, anche per la sua pericolosità. Ti fiacca quasi di più il periodo d'avvicinamento al giorno della gara che la corsa in sé. Mi piacerebbe rifare la 24 Ore, anche per riscattare le due precedenti esperienze sfortunate". 

Il movimento elvetico di piloti, scuderie ed eventi ritieni possa essere considerato soddisfacente?
“La Svizzera ha sempre avuto una buona tradizione motoristica. A partire dal team Sauber, per scendere fino ai vari Thomas Lüthi, Nico Müller, Alex Fontana, eccetera. Quello che trovo strano è il fatto che un Paese che vanta così tanti potenziali sponsor non impieghi risorse all'interno di manifestazioni automobilistiche, al di là del noto ‘mecenate’ bancario che ha sponsorizzato la Formula 1 per tre o quattro anni...”.

C'è in pilota che oggi rispecchia Andrea Chiesa?
“No, francamente non ne vedo. Almeno, spero di no (ridendo, ndr)".

Nel cassetto dei sogni, c'è ancora un’impresa da realizzare?
“Nel campo del motorsport direi che il mio tempo l’ho fatto. Però, mi piacerebbe correre una gara della Formula 1 storica, con tutte le leggende del caso. Dal punto di vista agonistico, direi che il cassetto dei sogni è vuoto".

Il Ticino ha fornito alla Svizzera due degli ultimi cinque piloti di Formula 1. Quale legame hai con Franco Forini?
“Con Franco siamo amici. Credo che Forini sia stato un pilota sempre sottovalutato dall'ambiente. Secondo me, è stato anche uno di quei driver che è riuscito a costruirsi bene ed è anche un grande conoscitore della tecnica e dalla macchina".

Infine, che cosa pensi della bocciatura dell’idea di un ePrix di Lugano per quanto riguarda la Formula E?
“A dire la verità non ho mai creduto che Lugano potesse organizzare un evento simile. Si tratta di un investimento che richiede grossi capitali e il parere all'unanimità di molte teste, che spesso non vanno propriamente d'accordo. Credo che sia proprio un peccato perché la Formula E ha un grosso numero di spettatori al seguito e avrebbe potuto portare visibilità alla città".

Ha collaborato Riccardo Vassalli 

 

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