Beat Zehnder: “A Imola nel 1994 pensai di dire basta...”
Il team manager Sauber ammette di puntare in alto, ma non nel breve termine e con le regole attuali. Per l’elvetico, da 25 anni nel team, la Formula 1 avrebbe bisogno di una distribuzione più equa del denaro per migliorare lo spettacolo.
Foto di: Sutton Motorsport Images
Tra i più longevi dirigenti di un Circus in costante fermento, Beat Zehnder è da sempre fedelissimo della Sauber.
Approdato alla scuderia elvetica al momento della sua fondazione nell’ormai lontano 1993 ha potuto vivere sulla propria pelle le evoluzioni della categoria, non sempre andate nella giusta direzione.
Quanto è cambiata la Formula 1 dal suo debutto?
“Io sono arrivato nel 1993 e da allora, grazie all’avvento di Internet e dell’e-mail, si sono modificate molto procedure e velocità. Lo sport è cresciuto in termini di budget e anche di persone coinvolte diventando globale”.
Invece, il suo lavoro è rimasto lo stesso?
“No, ora devo occuparmi di più persone. Quando ho esordito a Kyalami eravamo in 27 in totale, inclusi fisioterapista, patron e piloti. In epoca di proprietà BMW siamo passati a 120. Adesso siamo in 75, tra logistica e operazioni”.
Qual è stato il momento più duro della sua carriera?
“L’1 maggio 1994. Volevo smettere con le corse. È stato un week end terribile cominciato con l’incidente di Rubens Barrichello venerdì. Sabato è toccato a Roland Ratzenberger, che tra l’altro conoscevo personalmente perché prima di arrivare in Formula 1 guidava i Prototipi del Gruppo C. Quindi, al via della gara, il crash di Pedro Lamy e J.J.J. Lehto, con il ferimento di alcuni spettatori. Poi Ayrton Senna e la ruota persa al box da Michele Alboreto, che colpì dei meccanici. In quel frangente l’ambulanza era dall’altro lato della pit-lane e dovemmo trasportare tutti al medical centre. Spaventato, andai da Peter Sauber: gli dissi che volevo chiudere con questo lavoro, ma lui mi dissuase facendomi capire che era parte del gioco. In fin dei conti l’ultimo grave botto era stato quello di Elio de Angelis a Le Castellet nel 1986. Due settimane dopo, però, un nostro pilota, Karl Wendlinger a Montecarlo, fu vittima di una violenta uscita di pista che gli causò danni cerebrali e 90 giorni di coma”.
Passando alle note più dolci, il ricordo più bello?
“La doppietta a Montréal nel 2008. Sfortunatamente l’unica vittoria da noi conseguita. Comunque, tutta la stagione era stata positiva. Avevamo ottenuto diversi podi e, fino a 3 o 4 gare dalla fine, lottato anche per il titolo mondiale. Una grande soddisfazione per la squadra”.
Qual è il driver più forte che ha schierato?
“Era un italiano. Una persona difficile:Andrea de Cesaris. Quando metteva il casco diventava matto. Purtroppo ha avuto un incidente fatale qualche anno fa. Lo ricordo a Monza nel ‘94. Si era qualificato settimo. Allora c’era un propulsore ad hoc per ogni fase del fine settimana. Ci disse che non voleva assolutamente che toccassimo la macchina, perché andava che era una meraviglia, ma noi dovevamo per forza montare il motore da Gran Premio. Andò addirittura ad insistere da Sauber! Oltre a lui ho nel cuore molti dei piloti che hanno iniziato con noi, da Kimi Raikkonen a Sebastian Vettel, Robert Kubica, Nick Heidfeld, Heinz-Harald Frentzen, Johnny Herbert. Tutti avevano lati positivi e negativi”.
E il più deludente?
“Adrian Sutil. Non si è dimostrato un team player, si lamentava sempre dell’auto sostenendo che era inguidabile, ma non faceva nulla per trovare una soluzione. Aveva talento, però non si è comportato bene” .
Parlando della line-up attuale, dove può arrivare il rookie Charles Leclerc?
“È ancora troppo presto per dire se diventerà un top driver. Ad ogni modo finora ha avuto una carriera magnifica. Ha chiuso sul podio in tutte le categorie minori cui ha partecipato, tranne la Formula 3, ed ha vinto sia la GP3, sia la GP2. La sua determinazione già la conoscevamo, avendo disputato per noi alcune sessioni iniziali di prove libere lo scorso anno. È focalizzato e sta facendo di tutto per diventare un campione. Il talento c’è e io sono fiducioso, tuttavia diversi fattori potrebbero influenzarlo. Ad esempio l’attenzione mediatica. Anche se è stato seguito bene dall’Academy Ferrari, credo che l’eccessiva pressione nei suoi confronti abbia pesato sulla sua prima gara (compensata però dal sesto posto di Baku, ndr). Inoltre potrebbero presentarsi imprevisti come l’impossibilità di correre e l’esigenza di essere sostituito”.
Diversamente, che ambizioni ha l’Alfa Romeo Sauber per il prossimo futuro?
“Finché questo sport non cambierà in termini di distribuzione dei proventi e di budget, come team non potremo andare oltre la top 4. Il nostro obiettivo, dunque, è il quarto posto, però non nel 2018 e forse neppure nel 2019. Alla luce dei soldi e del personale a disposizione non sarebbe realistico puntare a qualcosa di più. È come se nel calcio lo Zurigo riuscisse a battere il Real Madrid. In condizioni normali non può accadere. Potrebbe esserci un pareggio, ma sempre in condizioni eccezionali”.
Allargando lo sguardo, crede che la Mercedes sia ancora davanti?
“Sebbene non più come prima, penso di sì in quanto dispone del ‘party mode’. Dall’introduzione dei V6 ha fatto un lavoro magnifico sul motore rendendo impossibile un recupero in tempi brevi da parte della concorrenza. Quando gli altri si occupavano del propulsore, loro hanno potuto guardare ad altre aree. Di positivo c’è che, fino al 2020, le regole resteranno stabili e di solito quando è così si riescono ad assottigliare le differenze. Ricordo nel 2012 quando si veniva da un periodo di stabilità: anche i piccoli team erano in forma e vi erano stati sette vincitori diversi nelle prime sette gare”.
Che idea si è fatto delle minacce di abbandono lanciate dal Presidente del Cavallino Rampante, Sergio Marchionne?
“Non penso che Ferrari lascerà. La Formula 1 ha bisogno di lei, ma anche viceversa. Si tratta di un dare e un avere. La fama del marchio va di pari passo con i successi nel Circus. Dunque, sono certo che si arriverà ad una mediazione”.
È d’accordo con l’introduzione del budget cap?
“Disporre di maggior equità nelle risorse sarebbe ottimo. Detto ciò, quello che conta per il medio termine è tornare ad avere gare battagliate. Negli ultimi tre campionati sul podio sono saliti quasi sempre gli stessi team, e questo non va bene. Allo stesso modo, pur facendo un ottimo lavoro, una scuderia come la Sauber non potrebbe mai sperare in una top 3”.
Che cosa pensa del cosiddetto "affaire Laurent Mekies" e del suo criticato passaggio dalla FIA alla Ferrari?
“Non ero presente alla recente riunione per il Gentlemen Agreement. In ogni caso, è un argomento molto delicato. Quando si mettono sul tavolo le proprie idee progettuali, la Federazione viene a conoscere informazioni molto confidenziali. Quindi, se da un lato la sua è una posizione al limite, non è giusto neppure invitare una persona a starsene a casa un anno soltanto perché è stato un federale. A mio avviso, poi, Marcin Budkowski, passato alla Renault, aveva in mano molti più segreti rispetto a Mekies”.
Cambiando argomento, è contento dell’arrivo della Formula E in Svizzera?
“Sì, sono molto felice e mi spiace davvero non essere a Zurigo per assistere all’ePrix, in quanto sarò a Montréal per la Formula 1. Seguo spesso le gare alla TV e mi divertono perché la competizione è serrata. L’unica cosa che destabilizza è l’assenza del rumore. Trovo inoltre interessante il suo legame con il gaming e i giovani, ma soprattutto con i progetti di realtà virtuale che ammiro. Alcuni elementi andrebbero adottati anche dal Circus. Per il resto, comparare le due categorie è un errore. Sono mondi diversi...”.
Pensa che un giorno potremo assistere ad una corsa non elettrica in territorio elvetico?
“Non credo. Ad esempio finanziare uno dei nostri GP è parecchio impegnativo e poi c’è bisogno di un circuito. Le città svizzere sono piccole e oggi un tracciato a norma deve contare almeno su 5 chilometri di sviluppo. Dove si potrebbe ricavare lo spazio necessario? E ancora, dove costruire hotel e camping per ospitare la gente? Ciò che conforta è che l’interesse attorno al motorsport è cresciuto anche per merito di piloti come Marcel Fässler , Neel Jani e Sébastien Buemi e che non siamo più all’età della pietra come vent’anni fa”.
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