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“Nelle nostre GT3 rivive oggi lo spirito di Loris Kessel”

Pietro Zullino, direttore tecnico dell'atelier di Lugano da ventisette anni, racconta la genesi dell'avventura Ferrari

#11 Kessel Racing Ferrari 458 Italia: Michael Broniszewski, Alessandro Bonacini, Michael Lyons, Andrea Piccini

Vision Sport Agency

#11 Kessel Racing Ferrari 458 Italia: Michael Broniszewski, Alessandro Bonacini, Michael Lyons, Andrea Piccini
#11 Kessel Racing Ferrari 458 Italia: Michael Broniszewski, Alessandro Bonacini, Michael Lyons, Andrea Piccini
#11 Kessel Racing Ferrari 458 Italia: Michael Broniszewski, Alessandro Bonacini, Michael Lyons, Andr

Kessel Racing. Un grande patrimonio allo stesso tempo dell'automobilismo svizzero e italiano, visto lo storico radicamento nel canton Ticino e la collaborazione con la Ferrari che data ormai alla notte dei tempi. Ma la celebre squadra corse di Lugano, che porta il nome del compianto Loris, imprenditore, pilota e team manager che ha segnato un'epoca e un territorio a metà fra due culture né più né meno di Clay Regazzoni o di altri campioni svizzeri, è anche la "casa" e l'opificio di uomo che ha impresso un segno indelebile nello sviluppo delle vetture racing della Casa di Maranello, per lo meno nel settore Gran Turismo.

Oggi la concessionaria elvetica si occupa dell'assistenza tecnica delle 458 GT3 che gareggiano in tutto il mondo, in nome e per conto dell'industria emiliana: se ciò è stato possibile, il merito è anche, e forse soprattutto, del direttore tecnico Pietro Zullino, da ventisette anni in forza all'équipe di Grancia. Comasco, classe 1965, lo abbiamo intervistato per farci raccontare l'avventura della progressiva trasformazione dell'atelier di Loris Kessel in una vera e propria antenna tecnologica capace di sviluppare in totale autonomia vetture da competizione “in rosso” degne di questa fama e, naturalmente, di renderle vincenti...

Una volta esaurita la carriera in pista di Loris come driver, la Kessel Racing è stata fondata o, per così dire, rifondata ex novo proprio con la Ferrari 360 Modena Challenge. Ci può raccontare qualcosa della genesi del “grande meccanismo” d'impresa che sta portando ai risultati di oggi...

“Parliamo di scelte importanti, tutte fatte in momenti diversi. Ecco: in principio va detto che nel DNA della Kessel Racing di base c'è sempre stato solo e soltanto Loris, che con il suo spirito sportivo, sin da quando era giovane, alimentava l'interesse per lo sport come corridore e come costruttore di vetture, cercando ogni avventura immaginabile con le macchine da corsa. Nel 2000, vi è stata comunque la grande svolta 'pratica', dopo che la concessionaria si è, per così dire, stabilizzata e consolidata: lì si decise di intraprendere un percorso racing. Questo per due fattori: la passione, da una parte, e il marketing applicato all'automobilismo sportivo, dall'altra. Un fattore nel quale Loris Kessel credeva molto per promuovere le comuni attività di vendita”.

In che cosa consiste il supporto della Kessel Racing al reparto Corse Clienti della Ferrari, più esattamente?

“In questo momento, noi forniamo un appoggio alla Ferrari per l'assistenza: non è tanto, per così dire, la ricambistica con i problemi annessi e connessi a riguardarci, quanto piuttosto l'assistenza tecnica e le risorse umane”.

Un percorso cominciato ormai tre lustri or sono...

“Già, perché nel 2000 nacque il nuovo progetto di riavvicinamento al mondo delle corse con il Challenge. All'epoca era infatti appena uscita la 360 Modena. Siamo partiti con una macchina, informando la Ferrari fin dal mese di dicembre che saremmo scesi in pista. Subito dopo diventarono due. Abbiamo debuttato in una corsa a corollario della 1000 Km di Monza, che abbiamo vinto, dimostrando pertanto di essere partiti con il piede giusto, dopodiché scattò il campionato di specialità. Alla fine della stagione, le macchine impegnate nel Ferrari Challenge erano già salite a tre. Fortunatamente, siamo andati bene. Abbiamo fatto un buon lavoro, sia di assistenza piloti, che di risultati, e l'anno successivo il team Kessel Racing è cresciuto ancora, tanto più che le 360 Modena sono diventate ben cinque...”.

Qual'è stata l'evoluzione successiva del programma Gran Turismo?

“Nel 2001, si è consolidata la nostra presenza nel Ferrari Challenge, nell'ambito del quale ci siamo rivelati un'entità tecnicamente capace e numericamente sempre in crescita. Abbiamo anche cominciato a strutturarci con i nostri mezzi, con le attrezzature e, appunto, abbiamo orchestrato l'allestimento di un reparto corse ad hoc: in quegli anni lì, il personale che lavorava al motorsport iniziò ad operare in un contesto organizzativo separato dalla concessionaria, pur restando ad essa adiacente. Nel 2002 si aggiunse l'avventura Gran Turismo con la 360 versione N-GT, preparata dalla Michelotto Corse, che esordì alla 24 Ore di Spa-Francorchamps. Siamo andati a fare il Campionato Francese e anche in quell'occasione abbiamo vinto il titolo con Alex Caffi e Max Cattori. Il nostro reparto corse era dunque impegnato in una doppia missione: il Ferrari Challenge, che è sempre stato seguito fino a oggi, e il Gran Turismo. Quest'ultimo era chiaramente un'attività più impegnativa, più complessa, comunque ci siamo sempre difesi bene. Nel 2003 abbiamo affrontato il Campionato Italiano, che abbiamo vinto così come quello francese, sempre con una N-GT guidata da Loris e da Andrea Chiesa”.

Si può legittimamente dire che il biennio 2004-2005 abbia rappresentato un punto o un momento di svolta?

“Quell'anno arrivò la Ferrari 360 GTC, che è stata forse la prima macchina veramente preparata come una Gran Turismo da corsa. Prima, potevamo legittimamente parlare soltanto di modifiche su quella che era la base della vettura Challenge: ancora una volta ci siamo imposti nel Campionato Italiano GT. Nel 2005 si è verificato un ulteriore salto di qualità, perché Loris aveva deciso di partecipare e di acquistare una supercar della Classe GT1. Parliamo di una Ferrari 575 GTC, che ha richiesto alla nostra organizzazione uno step in più. Diciamo che Kessel senior - esprimiamoci così visto che l'azienda è oggi nelle mani del figlio Ronnie - è sempre stato un pioniere, un trascinatore di uomini, quello che si buttava per primo nelle nuove avventure e, di conseguenza, spingeva gli altri a seguirlo, tanto più che tutti lo rincorrevano puntualmente. Questo ci ha fatto crescere molto, e nel breve periodo, ha fatto maturare tutti quanti noi. È stato un periodo difficile, perché non c'era mai un momento di stasi, tranquillità e di consolidamento, ma eravamo sempre parte attiva di un reinventarsi continuo, nel quale imparavamo cose nuove, sempre più difficili e complesse. Ci siamo anche confrontati con un mondo popolato da team storici e molto competitivi, ai quali abbiamo lanciato volenti o nolenti un guanto di sfida, ed è stato tutto molto, molto stimolante...”.

Il 2006 vi apre le porte della Classe GT3, inaugurando un ciclo che perdura tuttora ed è motivo di successi per la Kessel Racing.

“Esattamente in quell'anno dinanzi a noi si presentò un altro bivio, come spesso capita quando nell'automobilismo nasce una nuova categoria. Venne chiamata GT3: come sappiamo, in parole povere, lo spirito di quest'inedita Classe era quello di prendere delle vetture già in versione più o meno Cup o Challenge, applicare loro qualche modifica aerodinamica e renderle non un GT2, categoria all'epoca presente e già abbastanza sofisticata, bensì una macchina racing divertente e nella quale potessero competere tutti i costruttori. La formula si rivelò un esperimento vincente, perché noi a settembre-ottobre 2006 partecipammo alle ultime gare di questo campionato con una F430 modificata alla bell'e meglio. Essendoci tante vetture diverse e una pluralità di marchi, i piloti si divertivano nella maniera più genuina, in corsa così come in qualifica: lo svago non era infatti soltanto legato al risultato finale, ma all'ambiente delle competizioni nel suo complesso. Ricordo come se fosse oggi che, proprio nella gara di Digione, Kessel scese dalla macchina quand'era diciassettesimo, sedicesimo o giù di lì e mi disse: 'Mi sono divertito come un matto'. Era un mondo fatto di tanti modelli e case costruttrici diversi, incarnato da sorpassi e spettacolo. Non era il Ferrari Challenge, in cui tutte le macchine erano vicine tra loro, un po' plafonate. No, in quell'embrionale GT3 c'era un continuo rimescolamento dei giochi e delle carte, dei valori tecnici. Loris credette subito, e parecchio, in questo progetto: chiese alla Ferrari e a Giuliano Michelotto, che era il preparatore ufficiale, se fossero interessati ad aderire all'iniziativa di Stéphane Ratel, perché a suo e a nostro avviso la cosa era molto interessante. Dopo un paio di mesi o tre di consultazioni con loro, arrivò una risposta negativa. Ci spiegarono che a loro questa nuova Classe del Gran Turismo non interessava, in quanto non era ancora una categoria ben regolamentata e di conseguenza chiunque avrebbe potuto rischiare brutte figure, per la natura più politica che tecnica del campionato, totalmente nelle mani del promoter. Allora abbiamo domandato alla Casa di Maranello: 'Va bene. Se voi non lo fate, proviamo a farlo noi'. Così, con tanta nonchalance e molta incoscienza, ci siamo lanciati, ci siamo buttati a testa bassa in quest'avventura...”.

Come fu possibile bypassare quello che sostanzialmente era stato un “no comment”, se non un vero e proprio veto, della Casa di Maranello?

“Prendemmo una F430 Challenge e... fu tutto molto semplice. Una semplice mail fatta al nostro responsabile di zona, dove si diceva che, visto che Ferrari e Michelotto non erano interessati a preparare una macchina per questo tipo di campionato, la GT3 l'avremmo fatta noi. A questo messaggio nessuno rispose e così, come si dice in questi casi, chi tace, acconsente. Questa è una bella curiosità da narrare: fu un'azione 'un po' così': prendemmo un rischio, ma ci andò bene. Oggi lo posso dire...”.

Questo tipo di iniziative, in particolare l'approccio totalizzante alla Classe GT3, erano tipiche della personalità di Loris Kessel?

“Lo dimostrano i fatti. Nel 2007, ci trovammo la F430 preparata per la nuova Classe: era necessario omologarla, farla partire, e ce l'abbiamo fatta. Questo fu un grosso ostacolo, anche perché ci furono molte altre cose in scuderia da gestire: avevamo fatto progetti ambiziosi, estremamente ambiziosi per quelle che erano le nostre capacità produttive, ma anche lì siamo riusciti a spuntarla. Nel 2005, quando Loris decise di comprare una GT1, eravamo estremamente spaventati, ma Kessel ci diceva: 'Ma no, non preoccupatevi. È comunque una macchina, con quattro ruote e un volante: saremo capaci di farla anche noi…'. Questa quasi incoscienza è stata la nostra forza nella gestione dei problemi, nel buttarsi a capofitto sulle sfide. Il coraggio diventava mano a mano consapevolezza di sé: insomma, si affrontavano periodi difficili e duri, ma alla fine si riusciva nell'intento. È po' come quando un alpinista va a scalare una montagna: è difficile arrivare a 8.000 metri partendo da zero, c'è un bel cammino da fare. Loris Kessel aveva una marcia in più: si buttava e partiva. 'Su, vedremo durante la strada di che cosa avremo bisogno', diceva...”.

In quale maniera, nel corso di queste avventure agonistiche e tecnologiche, si surrogavano gli strumenti che non c'erano: ad esempio, si parlò allora di test avanti e indrè all'aeroporto di Lugano, anziché in pista, e di gocce d'olio depositate sulla carrozzeria come strumento di verifica dei flussi aerodinamici...

“A Lugano in aeroporto provavamo sempre parecchio, ma naturalmente si andava anche in pista. Si girava e si provava anche sul tracciato di Quattroruote a Vairano. Ci si recava dov'era possibile andare, alla bisogna. Ad esempio, ricordo che per fare lo sviluppo del cambio si provava e riprovava sul nastro d'asfalto dell'aerodromo di Fossoli, vicino Carpi, nel modenese. Si cominciava la mattina alle 9, che piovesse o no, e si procedeva a oltranza. Si andava avanti, indietro, instancabili, in continuazione. Si studiava l'acquisizione dati. Siccome poteva darsi che il softwarista non avesse molto tempo da dedicarci, la nostra giornata finiva quando avevamo completato il lavoro. Punto. Si faceva la modifica necessaria al programma di gestione, dopodiché si facevano esperimenti dinamici anche fino all'1 di notte. Il limite fisico era dato dal termine della pista, cioè... dalle lucine che ne delimitavano i bordi: bisognava frenare lì, perché si esauriva il percorso aeroportuale e soltanto con i fari della macchina non si vedeva dove stessimo andando. Ci sono stati momenti estremamente difficili anche nella sala prove dedicata ai motori. Pure lì ci si tratteneva sino a notte fonda per mappare il propulsore, trovando le soluzioni migliori. Il calendario era quello: la giornata finiva quando avevi completato la tua missione. Ricordo quel periodo come un momento estremamente pesante, ma allo stesso tempo soddisfacente, perché si apprendeva tanto da ciò che facevamo. Per non parlare della ricerca dei fornitori. Noi non eravamo nessuno, ragion per cui rivolgersi a un'azienda che non ci conosceva, spiegando ciò che volevamo e come lo volevamo, senza avere un minimo di credenziali, è stato abbastanza difficile. Però, poi la fiducia la si guadagnava nel tempo e sul campo e si riusciva a collaborare con tutti: parliamo di gente con cui ancora oggi ci sentiamo in maniera veramente cordiale e con regolarità. Sono stati momenti bellissimi, epocali, di condivisione e anche di idee, di puro lavoro. Momenti facili, difficili, di soddisfazione e di scoramento. In ogni caso, ritengo che, a livello di esperienza umana nel rapporto con i fornitori, tutto quello che abbiamo messo su insieme non possa avere mai eguali...”.

Per quanto riguarda la nuova hospitality della squadra, avete scelto la Carrozzeria Barbi, che è modenese come la Ferrari o l'aeroporto carpigiano sul quale effettuavate i test. Com'è nata questa partnership?

“La questione della nostra area ospitalità è un altro di quei progetti nati perché c'era l'esigenza di modernizzarsi: in sintesi, di cambiare un po' la nostra motorhome attuale. Tramite un progettista che abbiamo conosciuto, Mirko Gabellini, un altro 'pazzo furioso' del motorsport come me e come tanti altri, abbiamo messo su un progetto in cui desideravamo applicare le nostre idee senza freni. Avevamo pensato alla cosa già nel 2013, dopodiché lo abbiamo ripreso in mano oggi dopo un periodo difficile. Adesso sono finalmente arrivati i fondi per poter fare il mezzo: abbiamo cercato in lungo e in largo per il nord Italia una struttura che potesse darci l'appoggio necessario e abbiamo trovato la Carrozzeria Barbi, con la quale noi e Mirko Gabellini stiamo lavorando. Parliamo di un'azienda che ha qualcosa come centodieci anni di storia dietro di sé, e non sono pochi...”.

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