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Famin: "Vi racconto cosa ho capito dalla mia Dakar"

Il direttore di Peugeot Sport spiega cosa cambierà sulla 2008 DKR per sfidare la Mini nel 2016

Famin:

Al Salone di Ginevra le due grandi rivali erano vicinissime, in stand attigui. La Peugeot 2008 DKR teneva a… vista la regina della Dakar, la Mini All4 Racing. Bruno Famin, direttore di Peugeot Sport, l’avevamo incontrato l’anno scorso proprio in Svizzera, prima del ritorno del Leone ai rally raid e ora, a distanza di dodici mesi, è possibile fare un punto dopo la partecipazione alla massacrante gara in Sud America con tre inedite vetture a due ruote motrici.

Peugeot Sport ha scoperto le meraviglie e tutte le insidie della nuova Dakar che ha mantenuto il fascino dell’avventura promulgato da Thierry Sabine, ma che impone anche la perfetta conoscenza di una maratona che resta una sfida probante per uomini e mezzi.

L’undicesimo posto di Stephane Peterhansel, con la migliore delle due 2008 DKR al traguardo, la dice lunga sulla selettività di una corsa che non si conosce mai abbastanza. E non è un caso che a Parigi si dica che David Castera, direttore tecnico della Dakar, possa lasciare l’ASO, la società che organizza la gara, per assumere un ruolo di consulenza in Peugeot Sport. A Velizy hanno completato l’apprendistato e adesso affilano le unghie per sfidare la Mini nel 2016.

Bruno cosa ha portato a casa dall’esperienza alla Dakar? Il direttore di Peugeot Sport alza il polso sinistro mentre comincia a sorridere di gusto…
“Ho portato a casa l’orologio dalla Dakar. Non sono mica andato là per niente! Scherzi a parte è una gara molto difficile, ma l’obiettivo iniziale di Peugeot non era vincere, ma arrivare in fondo alla prima edizione del rientro almeno con due vetture delle tre che abbiamo schierato e senza gravi problemi tecnici. Credo che questo sia stato un grosso successo per un marchio che mancava da questa competizione da 25 anni. Penso che non si potesse fare meglio per consolidare un progetto che si articola su tre anni: abbiamo messo le basi alla partecipazione del 2016 dove conteremo di essere protagonisti assoluti. E la terza 2008 DKR non ha completato la corsa solo perché è stata vittima di un brutto incidente con Carlos Sainz”.

Perché non si può vincere la Dakar al debutto?
“La Dakar del Sud America non ha più niente da spartire con la gara nei deserti africani. Non è più solo un’avventura, ma una corsa che richiede un approccio molto professionale. Le speciali sono molto impegnative, tanto quelle nel deserto del Teneré. Le condizioni climatiche sono più proibitive e il livello dei concorrenti è altissimo: c’erano la Mini e la Toyota. La Mini ha schierato la squadra ufficiale e ai meeting della FIA è sempre rappresentata dagli uomini che contano di BMW, visto che il team X Raid è la loro emanazione voluta da Quandt. La Toyota ha accumulato una grande esperienza anno per anno e ha messo insieme le forze di team diversi: è stata molto temibile perché a lungo ha incalzato le Mini che disponevano di uno squadrone. E ricordo che la nostra prima partecipazione alla Dakar nel 1987 poteva contare su una vettura, la 205 T16 Gran Raid che esisteva già e aveva dominato nei rally vincendo gare come l’Acropoli o il Safari che avevano caratteristiche simili alla Dakar. Noi, invece, siamo partiti da zero”.

Siete soddisfatti del risultato ottenuto?
“Sì, perché siamo arrivati in fondo alla maratona e quando non si vince non conta la posizione con cui si conclude la corsa, ma arrivare in fondo. Avremmo potuto vincere una o due tappe, ne avevamo le potenzialità ma non ci siamo riusciti per piccoli problemi. Il nostro obiettivo sarà vincere la Dakar al più presto e aver completato il percorso ci ha permesso di raccogliere tutte le informazioni per migliorare dove non eravamo abbastanza competitivi”.

Cosa ha imparato da queste edizione della Dakar che non conosceva?
“Al via della prima tappa nessuno della squadra sapeva cosa sarebbe successo, perché il team è rimasto quello che faceva altri programmi sportivi. Abbiamo dovuto imparare ogni aspetto sul campo: ora abbiamo una visione molto chiara su come si deve approcciare una Dakar”.

Ma cosa ha trovato di diverso rispetto a quello che aveva in testa?
“Tanti dettagli nell’organizzazione del bivacco e molte carenze nella comunicazione sull’andamento della gara mentre è in corso. Eravamo abituati a Le Mans ad avere dei dati live per la tutta la 24 Ore, mentre durante una speciale della Dakar non sapevamo se le nostre macchine erano ancora in gara o se avevano avuto dei problemi. A volte ricevevo i messaggi sms di Picard prima delle informazioni su internet perché i collegamenti erano pessimi”.

E cosa pensa di fare l’ASO per migliorare la situazione per il prossimo anno? “Onestamente devo dire che non è facile. Paradossalmente quest’anno abbiamo attivato una persona in Francia che seguisse tutto quello che veniva postato su internet e ci aggiornava con degli sms, dal momento che i collegamenti con la rete erano molto difficili. È chiaro che dobbiamo ripensare il nostro modo di comunicare. Una volta che le vetture lasciavano il bivacco diventava arduo avere notizie precise sull’andamento della corsa e sugli eventuali interventi da pianificare. Ci sono state situazioni per cui le macchine sono arrivate al bivacco prima delle assistenze o dei camion. Giorno per giorno abbiamo riorganizzato la spedizione in funzione dell’esperienza che siamo riusciti a farci sul campo. E del resto il road book del giorno dopo viene consegnato ad ogni equipaggio dopo il briefing per cui ogni tappa viene preparata nella notte: i piani di assistenza, le tattiche di gara, la preparazione delle vetture per il tipo di terreno da affrontare. Uno dei problemi della Dakar è che si lavora di giorno, ma anche di notte e ci si abitua a non dormire, accumulando la stanchezza. E bisogna imparare anche a gestire quella. In futuro organizzeremo dei diversi turni di lavoro che terranno conto di queste esigenze”.

A fronte dell’esperienza vissuta quello della 2008 DKR è un progetto da rivedere?
“Negli aspetti fondamentali direi di no, ma nei dettagli tutto! L’idea di utilizzare le trazione a due ruote motrici resta valida e non la cambieremo, restiamo convinti che le quattro ruote motrici non siano indispensabili per essere vincenti alla Dakar, ma l’attenta analisi della corsa ci ha insegnato tante cose che invece dovranno essere sostanzialmente modificate…”.

Si dice che la vettura 2016 sarà con un passo più lungo e una carreggiata più larga: è vero?
“Non lo escludo, ma la macchina di quest’anno è arrivata al via della Dakar con poca preparazione e pochi test per cui l’abbiamo scoperta durante la corsa. Posso dire che avevamo un problema alla trasmissione che abbiamo risolto solo in dicembre, giusto prima di partire per il Sud America. La 2008 DKR si è rivelata eccellente in certe condizioni del percorso e meno in altre”.

Sulla sabbia si comportava bene, mentre era più in difficoltà nelle prove in linea…
“Abbiamo iniziato la corsa senza avere un set up di base sul quale iniziare le modifiche e lo sviluppo dell’assetto, per cui la scoperta della macchina è stata graduale nel corso della gara stessa. Ora abbiamo le idee chiare sul da farsi: stiamo programmando delle modifiche al motore e al sistema di sovralimentazione per ridurre il tempo di risposta del turbo e migliorare la coppia. Interverremo sulle sospensioni e per ridurre la temperatura che i piloti dovranno sopportare nell’abitacolo. La lista è lunghissima e non c’è molto tempo per intervenire su tutto”.

Quest’anno crede che sia necessario partecipare ad altre gare (si parla della presenza in Cina) per preparare la Dakar?
“Quando avremo definito il pacchetto di modifiche da apportare alla vettura, programmeremo una serie di test. Alcune novità di motore sono quasi pronte e le proveremo all’inizio della settimana a Montlhéry: sono prove su asfalto di quattro giorni per verificare il turbo lag con un nuovo motore che viene montato sulla macchina che è stata esposta al Salone di Ginevra. La vettura 2016, invece, comincerà a vedersi a metà anno, non prima…”. Pensa che la Mini l’anno prossimo possa schierare come vettura di punta un buggy? “Abbiamo già visto il buggy di Chicherit quest’anno che era una prototipo: diciamo che è possibile, ma è difficile da dire oggi. Se devo giudicare dai risultati e dall’analisi della gara di quest’anno direi proprio di no. Noi ci stiamo concentrando sul nostro lavoro e non ci occupiamo di cosa stiano facendo gli altri perché sono molte le cose che dobbiamo fare”.

La scelta non potrebbe essere in parte condizionata dalle scelte di percorso che farà L’ASO: con più sabbia e più dune il buggy potrebbe essere competitivo, mentre con un tracciato con molte tappe in linea tipo WRC come quest’anno è favorita la quattro ruote motrici…
“Nelle gare di fuori strada è davvero complicato trovare un buon equilibrio regolamentare, perché se in pista di può adottare un balance of performance che agisce sul peso, sulla flangia dell’alimentazione e l’aerodinamica, nell’off-road si aggiunge anche il percorso del rally-raid che a seconda di come viene disegnato può favorire una configurazione tecnica piuttosto che un’altra. Tocca all’organizzatore della Dakar, l’ASO, tracciare un percorso che non favorisca solo un costruttore contro un altro”.

Ne state parlando con loro?
“Certo, ma mi rendo conto che non è una cosa facile. Perché ogni nazione che vuole ospitare la Dakar è disposta a fare degli investimenti per promuovere certe aree, per cui aspetti commerciali e di marketing del tutto legittimi si incrociano poi esigenze tecnico-sportive. Non è un mistero che il tracciato dell’ultima edizione fosse nettamente a favore delle vetture a quattro ruote motrici, ma l’importante è sapere dove dobbiamo andare in futuro…”.

Quali sono le condizioni più adatte alla 2008 DKR?
“E’ piuttosto chiaro: la pista molto sconnessa e il deserto. Sullo sconnesso saremmo stati in grado di sfruttare il grosso lavoro che abbiamo fatto sulle sospensioni per affrontare e superare le peggiori asperità, mentre siamo andati in difficoltà sulle speciali in stile WRC, come lo sono state le ultime tre tappe di quest’anno, che privilegiavano la guida rallistica e quindi esaltavano le trazioni integrali”.

C’è qualche dato per comparare questi valori?
“Sulle prove tipo WRC eravamo più lenti di otto decimi al chilometro, mentre sul terreno molto sconnesso potevamo essere più veloci di due secondi. E’ capitato di vedere Peterhansel costantemente fra i primi in certe speciali, fintanto che non si sono manifestati dei piccoli guai che lo hanno rallentato”.

Come giudica le prestazioni dei suoi piloti Peterhansel, Sainz e Despres?
“Sono stati molto bravi per le condizioni che si sono trovati ad affrontare: hanno iniziato la gara con pochissimi test alle spalle…”.

Quindi promuove anche Cyril Despres che non ha brillato in questa Dakar concludendo 34esimo con una macchina ufficiale…
“Certo, Cyril ha fatto più fatica degli altri e meno male che c’era l’espertissimo Gilles Picard a dargli una mano. Il fatto che l’ex motociclista abbia concluso la gara è molto positivo per noi: ha imparato cosa vuole dire finire la Dakar con una vettura utilizzandola in tutte le condizioni più proibitive. Non ha mai commesso grandi errori e andava piano dove c’era da prendere troppi rischi. Ha fatto bene così…”.

Quali differenze ha visto fra i tre conduttori?
“Cyril non è ancora un top driver sulle vetture, ma sta imparando in fretta. Ci vuole tempo e non credo che possa ambire a vincere già l’anno prossimo, ma arriverà anche lui. Non dimentichiamoci quanti anni hanno impiegato Peterhansel o Roma prima di diventare competitivi con le auto! Despres penso che possa entrare nella top ten l’anno prossimo. Carlos, invece, è più un pilota da rally, mentre Stephane ha l’attitudine del pilota da off-road, se vogliamo cercare delle differenze”.

E come si declinano questi diversi approcci?
“Carlos ha la tendenza a usare sempre il 100% del potenziale della vettura, per cui può avere una velocità media superiore, ma è più soggetto ad avere problemi tecnici o l’incidente che lo ha poi costretto al ritiro, mentre Peterhansel ha un approccio più conservativo nei confronti della vettura sapendo gestire meglio le difficoltà. Ha iniziato la gara più piano, ma avrebbe potuto già vincere la quarta tappa. E’ andato molto forte nella settima e nona speciale. I due hanno caratteristiche di guida molto diverse che si completano perfettamente”.

È soddisfatto del ritorno avuto dalla Dakar?
“Direi proprio di sì, anche se si può migliorare molto la qualità della comunicazione della corsa…”.

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