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Morbidelli: "Dall'altra parte del muretto con il team Ten K Motorsport"

Durante il Master di Comunicazione di Experis Academy i partecipanti hanno avuto la possibilità di intervistare l'ex pilota ferrarista. Il pesarese ha ufficializzato la nascita di una nuova squadra nel monomarca BMW M2 CS Racing Cup Italy della quale sarà team principal, spiegando le motivazioni che lo hanno portato a cambiare ruolo dopo 40 anni trascorsi in pista da pilota.

Gianni Morbidelli, WestCoast Racing Volkswagen Golf GTI TCR

Foto di: TCR Media

Gianni Morbidelli si reinventa: non più pilota, ma coach del Mini Challenge dei piloti Under 25 e l’anno prossimo team principal del Ten K Motorsport che farà correre due BMW nel monomarca M2 CS Racing Cup Italy.

Il pesarese da pilota dal carattere difficile – per sua stessa ammissione-, muta pelle e mette la sua grande esperienza a disposizione di giovani talenti che vogliono aprirsi una strada nel Motorsport.

Gianni, la tua famiglia è caratterizzata da un passato sulle due ruote. Come mai hai deciso di seguire una carriera nel mondo delle autovetture?
“È vero, mio padre era un grande appassionato di moto e ha disputato diverse competizioni. Mi regalò il primo motorino quando avevo tre anni. Mia madre, però, non andava troppo d’accordo con l’idea di farmi correre un pericolo del genere, perciò poco dopo passai ai kart. Mio padre, un autentico genio della meccanica, mi ha supportato durante tutta il mio percorso nel motorsport”.

Chi sono stati i punti di riferimento nella tua carriera? E per quanto riguarda gli avversari, ne ricordi qualcuno in particolare?
“Ho avuto la fortuna di lavorare con tanti piloti importanti che mi hanno spinto a fare il massimo. Primo fra tutti, Micheal Schumacher. Lui fu sia un avversario (durante l’epoca dei kart, ndr) ma anche un punto di riferimento quando sono diventato collaudatore Ferrari. Michael rappresenta tutto ciò che l’atleta perfetto deve essere: appassionato, attentissimo al dettaglio e capace di tenere ogni tipo di situazione sotto controllo. Oltre ad essere poi, mostruosamente talentuoso”.

Gianni Morbidell sulla Ferrari 643 nel GP d'Australia 1991

Gianni Morbidell sulla Ferrari 643 nel GP d'Australia 1991

Photo by: Ercole Colombo

“Un altro riferimento importantissimo è stato Alain Prost: ho avuto la fortuna di essere tester del Cavallino con lui pilota e rimasi stupito nel vedere con i miei occhi l’incredibile attenzione al dettaglio che poneva in ogni sua azione. Era estremamente preciso persino nel non trascurare i millimetri dell’escursione del pedale d’acceleratore. Da lui appresi l’arte di essere un po’ pedante (per non dire, pesante). Ma credo che la precisione sia fondamentale in un lavoro come il mio”.

“Gli avversari che ho stimato? Davvero tantissimi: Martini in Minardi, Alesi in Ferrari. Ma tanti altri erano meno conosciuti, come ad esempio lo svedese Johan Kristoffersson (ora pluricampione del mondo nel Rally Cross, ndr), ma erano degli specialisti che sapevano darmi del filo da torcere”.

Gianni Morbidelli, Minardi M190 Ford, al GP d'Australia del 1990

Gianni Morbidelli, Minardi M190 Ford, al GP d'Australia del 1990

Photo by: Ercole Colombo

La “tua” Formula 1 e quella odierna: cos’è cambiato e cosa è rimasto uguale?
“Non sono un nostalgico. Non credo ci sia un periodo migliore o peggiore dell’altro. Sicuramente, dal punto di vista tecnico ci sono delle differenze rilevanti: prima dell’avvento dell’elettronica, la Formula 1 era molto fisica. Ricordo ancora quella volta in cui sostituii Pirro durante il GP del Brasile 1990 sulla BMS Dallara: non avevo assolutamente la preparazione fisica necessaria a completare la gara, e tanta era la fatica che pregai durante il GP che si rompesse il motore!”.

Gianni Morbidelli, Dallara BMS-190 Ford, al GP del Brasile del 1990

Gianni Morbidelli, Dallara BMS-190 Ford, al GP del Brasile del 1990

Photo by: Motorsport Images

“Oltre a questo, credo che la F1 odierna abbia subito una “devoluzione”: ad esempio, i sorpassi col DRS per me non hanno un gran senso. Preferisco vedere il talento del pilota e non un dispositivo artificiale. D’altra parte, credo che sia più che normale un cambiamento del genere: le monoposto oggi sono molto più sofisticate. I team sono più grandi e dispongono di molte più risorse. In ogni caso, credo che la Formula 1 mantenga sempre immutato il suo proverbiale fascino: è sempre bella, intoccabile ed esclusiva”.

Ti stimola l’idea di condividere la tua esperienza con i giovani piloti delle Academy?
“Moltissimo. Lavorare con i ragazzi mi fa ringiovanire: collaboro con il Mini Challenge e gestisco i piloti under 25. Mi vedono come un coach ma mi identifico piuttosto come un fratello maggiore: cerco di aiutarli a non fare i miei stessi errori. Quando avevo vent’anni avevo un carattere spigoloso e tendevo ad esser capriccioso: se potessi tornare indietro, mi divertirei di più. Il divertimento è fondamentale, così come l’amore per quel che si fa, la dedizione ed il sacrificio, chiavi fondamentali per vincere delle gare”.

Cosa farai l’anno prossimo? Come ti senti da pilota che ha appeso il casco al chiodo?
“Cerco di sollevarmi dallo stato di… pensionato. Siamo creature strane, noi piloti. Ho trascorso 40 anni girando il mondo senza mai stare fermo ma, quando ci fermiamo, non vediamo l’ora di ricominciare a testare la nostra resistenza sotto pressione”.

“Al momento mi piace fare il coach nel Mini Challenge. In più, seguo Giorgio Amati migliore rookie l’anno scorso che al momento compete nella Porsche Carrera Cup Italia. L’anno prossimo starò per la prima volta dall’altra parte del muretto: sarò Team Principal del team Ten K Motorsport, che schiererà due BMW nel campionato monomarca M2 CS Racing Cup Italy. È una collaborazione che ho intrapreso con il mio amico e collega Gabriele Marrotta: un’occasione del tutto nuova per me, in quanto per la prima volta mi troverò a “bacchettare” i piloti anziché essere io quello ripreso…”.

Come mai c’è il numero 10 nel nome del team?
“È un numero che mi ha sempre accompagnato nel corso della carriera. Ricordo che mio padre lo scelse personalmente per me: “L’1 non si poteva prendere perché era destinato al campione e sarebbe stato un po’ presuntuoso. Ci ha aggiunto lo 0 perché avremo avuto zero problemi”.

Alessandra Sinopoli

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